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Caratteristiche del debrayage enunciazionale al cinema

Caratteristiche del debrayage enunciazionale al cinema




Esistono dei casi – in realtà non così frequenti e sono in genere marcati dall’uso della lingua per indicare una relazione pronominale –, spesso legati all’interpellazione, in cui sembra istallarsi effettivamente una relazione omologabile a quella io/tu nella lingua, nella quale all’informatore e allo spettatore si sostituiscono degli attori in rapporto diretto con l’enunciante e l’enunciatario(debrayage enunciazionale). Poiché un tale tipo di struttura enunciativa viene reso attraverso procedure di figurativizzazione - frontalità, sguardo in macchina, ecc. – sono da definire come casi di iconismo pronominale.
La difficoltà di adoperare la categoria di persona al cinema dipende essenzialmente dal fatto che nella lingua i debrayage/embrayage delegati a istallare nel discorso le forme soggettive si attuano sul piano cognitivo(almeno ad un primo livello). Al cinema percepire e sapere sono omologabili solo in alcuni casi; la dimensione percettiva deve essere considerata in autonomia da quella cognitiva.
Ad esempio l’avversione in Marnie per il colore rosso: Marnie vede, in soggettiva, un mazzo di fiori rossi; questa visione ha su di lei un effetto traumatico, cosa che percepiamo dalla sua alterazione somatica e ci viene resa sia in oggettiva che in soggettiva(tutto lo sfondo diventa rosso); quindi Marnie si sbarazza dei fiori. Ciò che importa è che se si rimane al livello dello spettatore – inteso semioticamente – non si ha in questo caso alcuna circolazione di sapere, soltanto un susseguirsi di percezioni, che considerate nel loro insieme costituiscono ancora una percezione: l’immagine della relazione che Marnie intrattiene con il mondo esterno(l’immagine-relazione secondo Deleuze). Certo c’è qui qualcosa da sapere – il motivo dell’avversione di Marnie –, ma una tale questione presuppone un’interpretazione ed una memoria sintagmatica che tenga conto dello sviluppo narrativo del testo. Essa rimanda dunque direttamente all’enunciatario; lo spettatore ha semplicemente la funzione di vedere(far vedere) qualcosa, stabilendo con ciò che vede, allo stesso modo di Marnie, dei legami sensomotori, non cognitivi.
In conclusione, si può tentare di dare qualche indicazione rispetto a quelle opposizioni di cui si è parlato finora. Si può distinguere la lingua del cinema a partire dall’atto di cui essi sono il risultato, dato che entrambi presuppongono un fare semiotico di tipo specifico: un enunciato linguistico risulta da un atto di linguaggio, ossia da un atto cognitivo, mentre l’immagine cinematografica sembra piuttosto essere il risultato di un atto di percezione.
Ciò comporta due conseguenze essenziali:
1) in un testo linguistico l’atto percettivo è sempre rappresentato attraverso il linguaggio: l’atto in quanto tale si situa fuori dal testo. Esso è presente nel testo solo attraverso la mediazione di un soggetto che informa, ossia comunica un sapere, su un tale atto; si tratta dunque di un soggetto che ricopre il ruolo di un destinante e che va considerato autonomo dal soggetto percipiente. Il linguaggio può riprodurre delle sensazioni, ma questo avviene attraverso un programma mimetico che riguarda, ad esempio, i procedimenti stilistici: il caso più evidente in tal senso è l’uso della sinestesia. Al cinema, al contrario, l’atto percettivo si dà come diretto, costitutivo del testo, e coincide con l’atto comunicativo; ciò comporta che percezione, linguaggio e stile collassino in un unico atto
2) al cinema la percezione è la percezione di una percezione, nel senso che il dispositivo cinematografico dà a vedere allo spettatore non un oggetto, ma una percezione. Questa idea è stata per la prima volta esplicitata da Epstein, il quale parlava di una “percezione al quadrato”, ed è stata poi ampiamente ripresa e sviluppata da Deleuze. La percezione prima che il cinema mostra è quindi una percezione resa oggetto, che esiste in quanto tale e non in dipendenza del percipiente, la cui durata si estende oltre l’atto che la genera. Essa è dunque un percetto.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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