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La segmentazione di Arrivée d'un train - Lumière -




La prima produzione dei Lumière è diventata storicamente l’oggetto di una mitologia che l’ha ricoperta fino ad occultare gli stessi film, considerati di fatto accessori secondari del mito; mito che ha prodotto una sua aneddotica, un bagaglio di interpretazioni storico-critiche e, da ultima, una sua versione narratologica che individua nelle loro vues una sorta di grado zero della narrazione cinematografica.
L’analisi dell’Arrivée d’un train che qui si propone rifiuta implicitamente l’idea di origine e considera invece esplicitamente il testo nella sua complessità, ponendosi un duplice obbiettivo: la chiarificazione teorica di alcuni problemi connessi con l’utilizzazione di categorie enunciative in un testo visivi, ma anche l’analisi funzionale di un testo il cui rilievo storico sembra oltrepassare il puro interesse cronologico.
Se si cerca di applicare al nostro film un criterio morfologico di segmentazione, si è costretti ad ammettere che esso non autorizza alcuna suddivisione, in quanto permane invariato il punto di vista ottico, ossia la relazione tra la m.d.p. e lo spazio inquadrato. Tuttavia, il punto di vista prospettico non necessariamente rende omogeneo lo spazio inquadrato; l’individuazione di due spazi disomogenei sul piano sintagmatico consente una segmentazione che prescinda dall’unicità del punto di vista prospettico.
Si noterà come in movimento del treno provochi un mutamento della relazione tra lo sfondo e l’attore figurativo inquadrato (focalizzato). Il treno – attore focalizzato –, muovendosi sullo sfondo, finisce per sostituire quest’ultimo e diventare a sua volta lo sfondo su cui nuovi attori focalizzati – i passeggeri – si trovano ad agire; si può dire che si tratta in questo caso di un soggetto narrativo – il treno – che perde la sua identità(resa a livello discorsivo dalla variazione di grandezza dei piani del treno), ossia la sua capacità di permanere come tale – attante – all’interno del discorso nel quale si inseriva.
Un tale processo porta alla costituzione di due spazi semanticamente diversi e non omologabili, che permettono di segmentare il testo in due sintagmi demarcati dall’arresto del treno.
La teoria semiotica ammette l’esistenza di un attante osservatore, il quale, presente in maniera implicita all’interno di un enunciato verbale, può essere considerato come la scala di misura antropomorfa alla quale si rapportano tutti i fenomeno di aspettualizzazione. Ma basta dare un’occhiata al nostro testo visivo per renderci conto che ci troviamo di fronte ad un fenomeno assai diverso. Possiamo stabilire con estrema precisione la deissi spaziale che costituisce l’osservatore nel testo; nel nostro caso si potrà posizionare il punto di vista ottico all’incirca un paio di metri di distanza dal marciapiede, ad altezza d’uomo, orizzontale e spostato a sx rispetto all’asse parallelo al binario.
È possibile definire spettatore l’osservatore nel caso in cui sia omologato figurativamente al punto di vista ottico; nel nostro film lo spettatore istallato dal testo viene ulteriormente figurativizzato:
a) per antropomorfizzazione, in quanto il suo fare pragmatico(ottico) si identifica con quello di un soggetto antropomorfo supposto occupare la medesima posizione;
b) per omologazione ad un gruppo di attori – le persone che attendono il treno – attraverso la sussunzione in un unico attante collettivo strutturante a livello narrativo.
Lo spettatore, per il suo fare – vedere – e per il suo essere – posizionamento spazio-temporale – si trova ad attendere virtualmente un gruppo di persone che aspettano il treno e può quindi essere narrativamente omologato ad esse.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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