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Le immagini come enunciati narrativi

Le immagini come enunciati narrativi



La questione della fotogenia pone insomma i fondamenti epistemologici di una teoria del cinema. Val la pena di provare a formalizzare alcuni aspetti del problema riprendendo alcune questioni poste nel primo capitolo.
“Chi vede al cinema?”. Gli studi dell’ultimo decennio hanno dimostrato come tale domanda sia sostanzialmente mal posta: è molto meglio articolare la questione intorno alla nozione di punto di vista, più facilmente definibile e suscettibile di ulteriori specificazioni e differenziazioni. Essa comporta, di fatto, che si postulino una pluralità di forme soggettive, gerarchizzate e strutturate (in genere secondo il sapere) rispetto ad un’istanza soggettiva fondante formale o empirica (soggetto dell’enunciazione o spettatore).
Dunque l’immagine necessita di un soggetto, in quanto solo il permanere di una forma soggettiva che regge l’immagine garantisce la possibilità di integrare il punto di vista all’interno di una sintassi narrativa. Si tratta di trasformare l’immagine in un enunciato del tipo (S vede O) – riconducibile poi a (S sa che O) – dove S è una forma soggettiva comunque considerata e O un insieme di enunciati descrittivi attribuibili all’immagine un oggetto. Le immagini vengono trasformate in tal modo in enunciati narrativi e il problema della coordinazione tra forme soggettive diverse, derivanti dalla variabilità del punto di vista si pone allora nei termini della sintassi narrativa; tale operazione comporta però uno scarto, un margine di intraducibilità e niente ci garantisce che a perdersi non sia l’essenziale. È esattamente a questo punto si situa la riflessione sulla fotogenia, soprattutto nella versione di Epstein: essa può essere considerata come il tentativo di articolare una sintassi precognitiva e presoggettiva che sia propria dell’immagine in sé.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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