Skip to content

La psicosi in terapia: emergere del sentire


L’interpretazione di transfert psicotico è messa alla prova dalla natura soggettivistica del paziente e dalla sua tendenza a negare l’oggetto, ponendosi al di là o al di dentro di esso e dalla presenza in lui di una massiccia preminenza di transfert con se stesso e con il proprio corpo e dalla notevole dimensione delle sue reazioni interne.
Disturbare l’isolamento e la privatezza dello psicotico che ha coltivato a lungo relazioni segrete con un grandioso se stesso e con la sua divinità privata e ha assistito al crollo rovinoso dei suoi idoli, tante volte quante ha tentato di sfuggire al suo delirio, è un rischio che si può correre soltanto quando se ne conosce la gravità.
CC: Giovanni, un paziente psicotico, in un percorso terapeutico durato due anni (in casa, poi in ospedale e infine in ambulatorio) ha sperimentato per la prima volta nella sua vita la possibilità di essere ascoltato e compreso, accettato nei suoi deliri. Egli sostiene di essere normale, di aver solo bisogno di una cura per il suo mal di testa e non ammette interessamento da parte dell’altro. L’attenzione della famiglia, soprattutto della madre, è in gran parte concentrata sui problemi della figlia cerebrolesa, la cui malattia ha costretto la famiglia a spostarsi dalla Calabria a Roma, città con maggiori possibilità di assistenza. In questa situazione, la psicosi di Giovanni è certamente vissuta come un problema in più. La terapeuta e l’assistente sociale impiegarono qualche settimana per sentirsi accettate dal paziente e meritevoli dei racconti che il suo mondo interno ispirava. Il paziente partiva spesso da oggetti della sua stanza per avviare discorsi deliranti che potevano toccare la scienza, la matematica, la televisione, senza un apparente filo logico.
Sembrava che Giovanni fosse stato caricato della richiesta di contenere i fantasmi familiari occulti, tragicamente espressi nella vicenda della sorella malata. Il grande scienziato che era in lui e il malato regredito per sempre, non avrebbero mai dovuto mutare il proprio assetto, pena la perdita della possibilità familiare di contenere al proprio interno le fantasie mostruose del rifiuto omicidario, emerso con la gestosi che aveva danneggiato la sorella. Questa richiesta, aveva scatenato un odio hitleriano in Giovanni, non elaborabile e perciò scisso, contro la razza inferiore, mentre al polo opposto si sarebbe collocata una razza eletta, riscattatrice di ogni impurità.
Fu ricoverato al CIM per 3 mesi, dopo aver aggredito la madre, e in tutto quel periodo, soprattutto il padre e il fratello furono sollevati da non averlo più in casa, come se il ricovero potesse eliminare la fonte del problema. Qui ha iniziato una cura farmacologica che ha alleviato i suoi sintomi psicotici e gli ha consentito una psicoterapia ambulatoriale, molto lunga e positiva. Le sedute erano dapprima incentrate sul racconto dei sogni del paziente, soprattutto di carattere razzista, poi divennero immagini di futuro e di speranza. Il ritiro della terapista dal Dipartimento di Salute Mentale creò il problema di chi avrebbe dovuto ricevere l’eredità cruenta della terapia con Giovanni, ma egli scelse saggiamente la terapia di gruppo per non interrompere i progressi ottenuti con la “santa che gli aveva promesso una seconda vita”.

Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.