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La donna, i figli e la famiglia nel Kanun


L’art. 29 del Kanun riporta una celebre definizione: “la donna è un otre, fatto solo per sopportare”.
Accanto a questa definizione, in altri luoghi del Kanun, si ripete il ritornello dell’assoluta subalternità della donna nei confronti dell’uomo.
All’art. 28: “il sangue della donna non è da paragonarsi a quello dell’uomo”.
Al § 1227: “la donna, secondo la legge, non ha la personalità giuridica”.
La donna è quindi un’invisibile presenza all’interno della società albanese.

Tale condizione di discriminazione appare non sussistere nella definizione che Gjeçov, all’art. 9 § 18 dà della famiglia: “la famiglia è un insieme di individui umani, che vivono sotto lo stesso tetto, con lo scopo di moltiplicarsi per mezzo del matrimonio e svilupparsi fisicamente e spiritualmente”.
La definizione si richiama più a elementi della dottrina cattolica e della coeva morale sessuale borghese che ha elementi presenti nella legislazione e nel costume albanese.
Il matrimonio religioso è definito dal Kanun come uno dei  modi di unione tra l’uomo e la donna, non l’unico modo ammesso.
Il figlio illegittimo è escluso dall’eredità, ma la determinazione di chi sia figlio illegittimo, per il Kanun, non segue la definizione che ne da il codice civile italiano.
Se per quest’ultimo il figlio illegittimo, o naturale, è il nato fuori dal matrimonio, per il Kanun è illegittimo solo colui che è nato al di fuori di una delle forme di matrimonio ammesse, che secondo l’art. 11 sono: matrimonio religioso, concubinato, il rapimento della donna, il matrimonio “in prova”.

La società albanese è una società che all’apparenza pretende di essere egalitaria: “il codice delle montagne albanese non fa distinzione fra uomo ed uomo. Un’anima vale quanto un’altra; davanti a Dio non c’è distinzione”.
In effetti, è una società che accetta il gerarchismo, per cui “i figli debbono obbedienza e sottomissione ai genitori”, “al padrone spetta il comando, al servo l’obbedienza”, e alla donna non spetta quasi niente.

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