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Gioventù ribelle


Alla fine degli anni 50 iniziò ad emergere quella che viene definita come “gioventù ribelle”, caratterizzata da una sorta di ostilità rispetto al sistema sociale e di opposizione alle stesse mete culturali dominanti (ad es accettano il successo economico come valore, ma scelgono strade devianti, furto o inganno, per raggiungerlo).
A questa fase di ribellione giovanile ne sono seguite altre.
Agli inizi degli anni 60 all'ondata ribelle si sostituisce una generazione nuova, che propone i propri modelli culturali basati su valori pacifisti, sul rifiuto della violenza e della competizione del successo. Questa cultura giovanile è chiamata "Cultura Beat" o Beat Generation, e si è diffusa in tutti i paesi capitalisti per mezzo di gruppi minoritari, a cui fornisce modelli di orientamento e criteri di identificazione, impossessandosi subito dell'industria culturale, che da parte sua la diffonde attraverso riviste rivolte a un pubblico di giovani.
Verso la fine degli anni 70, segue un'altra generazione che dà vita a movimenti politici radicali che sorgono prima nelle Università delle principali città europee (Parigi, 1968) per poi diffondersi alle scuole superiori e coinvolgere parte del mondo operaio. Si tratta della “generazione del 68”, formata da giovani nati dopo la guerra, che nasce contro le gerarchie sociali e le ipocrisie presenti nella famiglia del mondo adulto, presentandosi così come aveva fatto la generazione beat, come portatrice di valori universalistici non riducibili all'universo giovanile.
Per la prima volta, la sociologia vede nel susseguirsi delle generazioni non il processo spontaneo di trasmissione dell'identità culturale di una società, ma l’instaurarsi di un conflitto di generazioni. Come ha sottolineato Mannheim, la capacità di incidere sulla realtà sociale da parte di queste unità generazionali, non si può spiegare solo in base all'età; l'età è una condizione necessaria ma non sufficiente della loro esistenza.
Erikson ha analizzato i processi che legano la biografia individuale al momento storico in cui si manifesta. Fornisce una spiegazione della nascita della gioventù come una fase distinta e ben caratterizzata dal ciclo di vita nella società a capitalismo avanzato degli anni 60, rivolgendosi al contesto storico sociale del fenomeno. Erikson sostiene che la gioventù sia stata organizzata come una fase a sé stante, diversa dall'infanzia e dall'età adulta, solo nelle società capitalistiche avanzate. È in questo periodo storico, infatti, che si costituisce un “contesto di moratoria psicosociale” nuovo, una sorta di intervallo in cui all'individuo è consentito esplorare la società senza obblighi specifici. Questo intervallo fa sì che l'età adulta sia un passaggio sempre rimandato. A ciò ha contribuito la scolarizzazione di massa e il conseguente allontanamento dall'ingresso nel mondo del lavoro. Aspetto più importante è il declino del controllo familiare, il rifiuto di assumersi responsabilità da parte della generazione adulta. La crisi di identità attraversata dei giovani di oggi è, secondo Erikson, la conseguenza della creazione della gioventù come fase di attesa e di esplorazione priva di punti di riferimento, a cui possono reagire opponendo un'identità negativa, dando vita a forme di protesta attiva.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI di Manuela Floris
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