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La storia


La storia è intesa come il complesso di saperi che investigano il divenire storico delle società e in particolare delle periferie.
La questione delle periferie per un lungo periodo non è stata trattata a livello storico perché si è sempre privilegiato la storia dei centri, soltanto la scuola francese degli Annales se n’è interessata in quanto si è occupata della storia minore.
Ci si domanda allora a quando si può fare risalire la nascita delle periferie e al riguardo negli ultimi anni si sono sviluppati una serie di approcci.

1. Approccio storicista sostiene che la periferia ci sia sempre stata ovvero che all’origine la periferia e la città siano la stessa cosa, ha buone motivazioni ma stride con alcuni aspetti della storia urbana in particolare con il periodo in cui le città erano murate e distinte dalla campagna, in questo caso non si può parlare di periferia in senso moderno ma se mai si può parlare del rapporto di dominio esercitato dalla città sulla campagna.
Franco Farinelli, geografo italiano, sostiene che le periferie ci sono sempre state per cui occorre tenerle in considerazione nel momento in cui ci si occupa di storia urbana, a sostegno della sua tesi cita Aristotele il quale raccontava una storia riguardo la città di Babilonia che stava per essere invasa dai nemici ma gli abitanti fecero comunque in tempo a celebrare una festa in quanto i nemici ci misero molto ad attraversare le città e arrivare in centro, questo denota che Babilonia era di dimensioni tali da avere anche una periferia.
Si tratta di un discorso che vale ma relativamente in quanto basti pensare alle città medievali murate rispetto le quali non si può parlare di periferia in senso moderno ma se mai si può parlare del rapporto di dominio esercitato dalla città sulla campagna.


2. Approccio industrialista sostiene invece che le periferie siano nate con la rivoluzione industriale quando le città fuoriescono dalle vecchie cinte murarie e crescono sotto il profilo demografico creando la necessità di realizzare grossi palazzi per ospitare i contadini provenienti dalle campagne e che lavoravano nelle fabbriche.
In Europa questo non avviene simultaneamente ma in base ai ritmi dei processi di industrializzazione nei vari paesi.
Le città nell’Ottocento crescevano enormemente senza alcun tipo di pianificazione ed erano i luoghi in cui si diffondono, a causa delle condizioni in cui vivevano gli operai, malattie endemiche, cioè malattie radicate all’interno di un determinato gruppo di persone.
(Ci sono epidemia di colera a Parigi quando iniziano i lavori di Haussman, a Londra nell’East End e ad Amburgo a causa della fogna all’aperto).
Le periferie per molti versi quindi si presentano come luoghi problematici e si ha l’idea di periferie come un luogo pericoloso.

3. Periferie Moderne, ovvero si tratta di un’ipotesi che sostiene che le periferie moderne siano nate tra gli anni Venti e Trenta quando è stato introdotto il fordismo e quindi l’automobile ma l’ipotesi prevalente ritiene che le periferie moderne siano nate nel secondo dopoguerra, ovvero tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Samonà scrive libri riguardo la struttura delle case popolari, in Germania si sviluppano le teorie dell’existenzminimum che si ponevano l’obiettivo di garantire un minino di comfort e degli standard negli alloggi aventi una metratura limitata.
Negli anni Trenta vengono costruite anche le prime periferie a Roma (Garbatella) e a Milano (San Siro)


Ovviamente nessuna possibilità esclude le altre perché a volte in Europa le epoche della storia delle periferie appaiono così stratificate da rendere problematica qualsiasi tipo di distinzione (quartiere di Cornigliano a Genova è un luogo in cui, nelle varie epoche, si sono succedute diverse funzioni urbane, ovvero villaggio dei pescatori, spiaggia dove la nobiltà genovese rinascimentale organizzava le corse a cavallo e costruiva lussuose ville suburbane, luogo di villeggiatura della borghesia ottocentesca, villaggio operaio, città industriale con l’altoforno e ora desolazione).
Per comprendere al meglio le periferie attuali occorre non limitarsi ad una contemplazione del passato perché bisogna sottrarsi alla fascinazione della memoria dei luoghi.

La principale lettura riguarda consolidata una tradizione teorica che insisteva sui rapporti tra Nord e Sud leggendoli in termini di centro dominante dove hanno sede le economie più avanzate e i poteri geopolitici e periferia dominata.
È interessante notare come il rapporto tra Paese colonizzati e Paesi colonizzatori non viene letto tanto come una questione di dominio ottenuto attraverso il potere ma come qualcosa viene mantenuto nel tempo anche una volta venuti a meno i rapporti di dominio politico e militare infatti anche quando questi paesi colonizzati raggiungono l’indipendenza, i legami di dipendenza economica rimangono iscritti nel funzionamento di questi territori che tendono a rimanere dipendenti dai Paesi colonizzatori, visti come una sorta di centralità.

I Paesi dell’America Latina nonostante abbia raggiungo l’indipendenza dalle potenze coloniali ma non vengono studiati come Paesi indipendenti ma come entità che continuano a fare riferimento al Paese colonizzatori.
Buenos Aires ad esempio è un Paese ricco di materie prime ma non riesce a decollare come un paese industriale indipendente in quanto continua a funzionare come una sorta di porta rivolta verso l’Europa che come capitale indipendente dell’Argentina.
Si tratta di città che vengono definite Villes Comptoir, ovvero sono state a lungo filiali di un potere che era altrove, sono nate come città coloniali che avevano il compito di convogliare le ricchezze verso la madre patria oltreoceano.
Nell’America Latina, durante tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nasce la teoria del Desarollo, ovvero dello sviluppo autocentrato nel senso che l’ex colonia cerca di svilupparsi in maniera autonoma slegandosi dai vecchi colonizzatori che oggi colonizzano in un modo diverso ovvero fornendo quello che questi paesi non sono in grado di produrre.
A tal proposito nascono le ISI (Industria Sostitutiva Importazioni).
In Argentina si era diffusa l’idea che bisognasse investire nell’industria locale per diminuire la sua dipendenza da altri paesi, questo si può notare osservando le automobili vecchie che vi circolavano. C’era inoltre l’idea secondo la quale i paesi arretrati per svilupparsi dovessero ripetere gli stadi che avevano attraversato i paesi più avanzati, negli anni Novanta però si scopre che tutto ciò non era necessario in quanto i paesi in via di sviluppo potevano diventare paesi del terziario senza necessariamente percorrere i vari stadi intermedi a causa della globalizzazione che aveva cambiato il panorama.

Centro/Periferia
Nord/Sud
Colonizzatori/Colonie


Tratto da SOCIOLOGIA DELLA CITTÀ di Francesca Zoia
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