Skip to content

Il mercato del lavoro in Italia - 1950 -


Per la prima volta nella storia dell'emigrazione meridionale il saldo del mercato del lavoro era in attivo, con una domanda di manodopera che superava solo leggermente l'offerta. 

Più di 200.000 unità, ad esempio, arricchirono le fila dell'industria milanese. Gli emigranti meridionali non entravano subito nelle fabbriche metalmeccaniche ma facevano il loro ingresso nel mercato de lavoro settentrionale come addetti al settore edile. L'orario era prolungato, l'avvicendamento frequente e le misure di sicurezza minime; spesso, alla fine della giornata, svolgevano un secondo lavoro.
Uno dei fenomeni più marcati del mercato del lavoro meridionale al nord per tutti gli anni '50 fu quello delle famigerate cooperative. Molti meridionali trovavano impiego attraverso queste agenzie di collocamento dirette da capetti di origine meridionale che rifornivano le aziende del Nord di manodopera a basso costo in cambio di lucrose tangenti. Il lavoratore versava una tassa di iscrizione e iniziava a lavorare da qualche parte senza alcuna garanzia pensionistica o antinfortunistica. 
L'azienda riconoscente retribuiva la cooperativa con un tot di denaro da passare ai lavoratori, anche se raramente più della metà della somma finiva in tasca a quei poveri disgraziati. 
Nell'ottobre del 1960, in seguito alle proteste congiunte di operai e sindacati, le cooperative furono messe fuorilegge. Le condizioni di lavoro nelle PMI erano molto dure. L'orario di lavoro, compresi gli straordinari, prendeva non meno di dieci – dodici ore; i contratti erano a breve termine, da tre a sei mesi; il turn over e la mobilità elevati, come nell'edilizia. Delle tre categorie operaie previste, i meridionali rimanevano quasi sempre in fondo, con scarse possibilità di scatti economici. Inoltre, aziende importanti come la Fiat, furono restie ad assumerli, preferendo pescare nel tradizionale bacino della campagna piemontese e lombarda. Le donne meridionali furono un gruppo importante nel mercato del lavoro. Trovavano spesso lavoro come cucitrici ma molte di loro, soprattutto giovani, riuscirono ad ottenere un posto nelle grandi fabbriche dell'industria pesante. Nelle fabbriche più piccole, addirittura, le donne meridionali impiegate superavano quelle settentrionali. Malgrado le condizioni, considerarono il lavoro in fabbrica come un importane segno di emancipazione.
Anche il settore del commercio assorbì parecchia manodopera emigrata: i figli degli immigrati lavoravano per un terzo del salario dei parenti più grandi come fattorini, camerieri, aiuto cuochi et similia, con un orario di lavoro di circa dieci ore.
Rarissime le occupazioni nel settore dell'impiego pubblico, feudo difesissimo dei settentrionali.
Alcuni, infine, trovarono la strada nel piccolo crimine e nella prostituzione. Agli inizi degli anni '60 gli ampi viali della periferia di Milano erano invasi, di notte, da prostitute che provenivano per lo più dal Meridione.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.