Skip to content

La nascita del cinema di propaganda

 
Nel periodo 1930 – 1937 Mussolini cerca di riportare ai fasti di un tempo la cinematografia nazionale. Alcune delle sue iniziative sono indubbiamente efficaci: tassazione che penalizza i film stranieri; finanziamento al conte Giuseppe Volpi di Misurata perché organizzi a Venezia una mostra del cinema, il cui debutto sarà nel 1932; creazione di una Direzione generale del cinema, dipendente prima dal Ministero dell’Interno, e poi dal famigerato Ministero della Cultura e Propaganda.
La decisione più importante rimane però quella di costruire, alle porte di Roma, un complesso unico in Europa, Cinecittà, inaugurata nel 1937. Allora era costituita da dodici teatri di posa su un perimetro di 600.000 metri quadrati. Al di là dei motivi propagandistici, Cinecittà permise all’arte cinematografica italiana di dotarsi della base tecnica che le mancava.
Ma per il regime il cinema era un fondamentale strumento di propaganda. Era necessario produrre film rivolti alla classe media che, senza esagerare, promuovessero i valori fascisti. Gli artisti che si distinsero in questa operazione politico – artistica furono soprattutto due: Alessandro Blasetti e Mario Camerini.
Blasetti proveniva dalla critica cinematografica, e si distinse con un film del 1929, Sole, che era un documentario propagandistico sulla bonifica delle paludi dell’Agro Pontino. Al di là della stucchevole propaganda, Blasetti adotta uno stile realistico, che scopre i volti degli abitanti della terra italiana. Ricordiamo anche Terra madre e 1860.
Ma Blasetti non è una camicia nera della cinematografia, come Carmine Gallone, Goffredo Alessandrini o Augusto Genina. In lui convivono due uomini, uno dei quali è l’uomo tranquillo che crede moderatamente agli slogans del regime. Blasetti è anche un esperto e serio uomo di cinema, e ne dà seriamente prova nel 1941 con La corona di ferro, che gli fece vincere la coppa Mussolini. Goebbels ne comprese subito la forza eversiva, il sotterraneo inno alla fratellanza dei popoli, alla pace, alla rivolta degli oppressi, e cercò di boicottarlo, senza successo.
La rinascita economica del cinema fa di Cinecittà un importante polo di attrazione internazionale. Dal 1933 Emilio Cecchi, direttore artistico della potente Cines, assume registi stranieri come il tedesco Walter Rutmann, che gira Acciaio ispirandosi ad un soggetto di Pirandello, e Marcel L’Herbier, che gira in Italia Ecco la felicità, nel 1940.
La politica di apertura del regime era naturalmente solo un alibi. Il cinema italiano occulta i veri problemi della vita nazionale, come l’arretramento economico, la povertà del sud, lo sfruttamento del proletariato, il provincialismo della cultura. Esiste tra la realtà sociale e la mitologia dello schermo uno scarto che la dittatura rende intollerabile.
Nel 1935 il regime crea il Centro sperimentale di cinematografia, che si rivelerà un’arma a doppio taglio. Sotto la direzione di Luigi Chiarini, il Centro diventa un focolaio di opposizione latente, dove si traducono e commentano i testi teorici di Ejsenstein, Pudovkin, Bela Balàsz; dove si scopre il cinema mondiale; dove nasce il realismo. Periodici come Bianco e Nero, Cinema, e Si Gira, oltre a cine club universitari come Cine Guf, polemizzano, senza incorrere nella censura, contro il cinema dei telefoni bianchi e il cosmopolitismo di facciata. Il neorealismo ebbe una così forte coesione quando nacque, perché in questi anni perfetti sconosciuti come Visconti, Antonioni, De Santis e Lizzani ne avevano gettato le basi.

Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.