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La guerra cino-giapponese agli inizi del XX secolo – Mario Sabattini e Paolo Santangelo


Di fronte all’aggressione giapponese, Jiang Jieshi riteneva di poter prendere tempo, ma l’occupazione della Manciuria dimostrò che i suoi calcoli si erano rivelati errati. L’attacco del luglio 1937 vide soccombere le truppe nazionaliste e il governo nazionalista si trasferì a Chongjing, in attesa dell’intervento delle potenze occidentali. Non decrebbe invece la sua ostilità nei confronti dei partigiani comunisti, sebbene il Guomindang e il Partito Comunista Cinese avessero formalmente raggiunto un nuovo accordo di collaborazione in vista della difesa contro il Giappone.

La guerra cino-giapponese fu strategicamente risolta in seguito all’intervento americano, avvenuto dopo il 1941. La vittoria sul Giappone sembrò rinforzare il regime nazionalista, che potè godere di una serie di riconoscimenti a livello internazionale. Ma in realtà, esso era minato dalle fondamenta, la corruzione all’interno dell’apparato statale e dell’esercito era una realtà. Inutili, dal canto loro, furono i tentativi di mediazione americana tra Jiang Jieshi e i comunisti nel corso del conflitto.

Abbandonato da una parte degli intellettuali e isolato nei confronti dell’opinione pubblica, il governo di Nanchino subì una serie di disfatte militari. Il 1 ottobre 1949, Mao Zedong proclamava a Pechino la Repubblica Popolare Cinese, mentre il governo nazionalista era costretto a rifugiarsi a Taiwan.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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