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I confessori



C'è un particolare ruolo che Black assegna ai confessori: questo ruolo è plausibile che avvenga poiché ci sono tutta una serie di reati che non possono essere assolti in confessione e quindi c'è un incitamento da parte di un confessore a rivolgersi al Sant'Uffizio per scaricare la propria coscienza. Ci fu nel 1559 una bolla papale che diceva ai confessori di non assolvere per eresia o per possesso di libri proibiti: questi due reati andavano sicuro mandati al Sant'Uffizio; addirittura, minacciava punizioni per i sacerdoti che non lo facevano. C'è sicuramente un incitamento papale a che i reati più gravi (eresia di fede ed eresia di libri, proibiti proprio perché contengono eresie) della stessa fattispecie penale, verbale o scritta, non può essere assolta dal confessore, ma deve essere demandata al Sant'Uffizio. Che ci sia un'attività dei confessori in questo senso è certo e ci sono molte prove su questo; c'è una maggiore mentalità giudicante da parte dei confessori appartenenti all'ordine domenicano, mentre c'è un atteggiamento più confessionale da parte dei gesuiti, ma grosso modo sono tutti quanti i confessori che assolvono solo i reati nel foro interno, dove avviene poi la confessione, la penitenza e la riconciliazione (tu confessi, io ti assolvo, ti do una penitenza, la fai e da quel momento in cui, sei ammesso alla comunione quindi è il momento della riconciliazione); di contro, il foro esterno prevede più o meno lo stesso tipo di azione: giudizio e confessione, abiura dei propri peccati e infine la riconciliazione attraverso le penitenze (spirituali perché parliamo del Sant'Uffizio romano, più blando e più benevolo con gli imputati).

Black definisce tutto ciò un "clima generale di dissimulazione", perché si pone il problema di credere o meno a tutto quello che si diceva nelle confessioni; per Black la dissimulazione è la prova della libertà interiore dell'imputato, perché quest'ultimo nella propria anima è libero di pensare quello che vuole, mentre a parole dice quello che il confessore vuole sentire, mentre ci si conserva un ambito intimo di libertà di opinione.
In verità, il tema della dissimulazione è molto più ampio, veniva praticato da tutti, non solo per ragioni penali, giudiziarie: per la cultura dell'epoca dire la verità è un elemento di brutalità, non è necessario dire la verità soprattutto quando questa è scomoda, produce conflitti; "qui nescit dissimulare, nescit vivere" cioè "chi non sa dissimulare, non sa vivere" ciò significa che il modo di stare insieme in società ha la necessità di una certa dose di dissimulazione. In effetti, i dissimulatori sono quelli che vivono meglio, sono meno spigolosi, non si contrappongono violentemente alle opinioni degli altri; è un tratto di garbo, un modo garbato di porsi in un contesto sociale di fronte e accanto ad altre persone, ciascuna delle quali ha la sua propria verità e nessuno la manifesta, si fa solo in momenti estremi, come quando si è al rogo in punto di morte, anche se poi queste sono le cosiddette verità inconfessabili e inconfessate per tutto il tempo, se non appunto rese possibili nel momento estremo. La dissimulazione è uno spazio riservato a pensieri intimi, inattingibili, cioè non si dicono a nessuno, solo Dio può giudicare su questi.
Nell'inquisizione romana la dissimulazione è un vero e proprio caso di nicodemismo, nel senso che sono cristiani che devono tenere nascoste le loro convinzioni perché non possono dirle dato che differiscono in qualcosa dall'ortodossia di cui gli inquisitori sono i guardiani.

Difesa: anche nell'inquisizione romana c'è l'avvocato difensore; essi sono per lo più avvocati d'ufficio che non si paga; il limite della difesa è il non conoscere gli accusatori, quindi non ha come portare avanti la difesa. E poiché gli accusatori sono quasi sempre sconosciuti, non c'è il dibattito tra accusatore e accusato che invece conosciamo nell'inquisizione spagnola. Nell'interrogatorio è sempre verbalizzato ciò che dice l'avvocato: egli solitamente serve per screditare i testimoni contrari, la sua attività principale. I testimoni contro l'imputato vengono detti nemici, vengono raccolte testimonianze in questo senso quindi è un modo che però finisce per essere ininfluente per quanto riguarda la condizione del giudizio perché gli avvocati non possono ostacolare l'attività del Sant'Uffizio, essi hanno un limite che si auto-pongono, per poter mantenere il lavoro.

Tratto da STORIA DELL’INQUISIZIONE ROMANA di Federica Palmigiano
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