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Le ultime minacce all’insediamento dei Qing

Anche dopo la fine della pacificazione, quando i Qing potevano a diritto chiamarsi signori di tutta la Cina, il loro controllo sulle regioni a sud del Fiume Azzurro rimase poco più che nominale. Wu Sangui, nominato principe di Pingxi, controllava lo Yunnan e il Guizhou; il generale Shang Kexi (che aveva sconfitto i lealisti nel Guangdong) e suo figlio Zhixin, principe di Pingnan, occupavano il Guangdong; Geng Jingzhong, principe di Jingnan, controllava il Fujian. Essi riscotevano le imposte derivanti dai monopoli commerciali e governavano i propri territori con ampia autonomia amministrativa e militare. Le loro truppe erano superiori a quelle del governo centrale. Se si fossero ribellati verso la metà del 1600 è certo che sarebbero riusciti a rovesciare la dinastia Qing. 
Wu Sangui invece attese sino al 1673, quando l’imperatore Kangxi decise di estendere il potere effettivo della dinastia su questi domini. Egli si ribellò uccidendo il governatore dello Yunnan e proclamando la dinastia Zhou: ripristinò i costumi e i riti della corte Ming e intimò ai Qing di ritirarsi nel Liaodong, offrendo loro il regno di Corea. Un buon numero di generali cinesi del Fujian, del Guangxi e del Sichuan si unì a lui, ed inizialmente quasi metà dell’Impero cadde sotto il controllo di Wu Sangui. Ma nonostante ciò al sua credibilità presso i cinesi del Sud era molto scarsa, per cui molti suoi alleati lo abbandonarono. Inoltre la risolutezza dell’imperatore e la stessa morte di Wu Sangui nel 1678, contribuirono al capovolgimento delle sorti della ribellione. Questo episodio, comunemente chiamato “la rivolta dei tre feudatari”, ebbe fine nel 1681, con il suicidio del nipote di Wu Sangui, Wu Shifan. 
L’altra grave minaccia al consolidamento dei Qing fu la rivolta di Koxinga. Questo è il nome che gli olandesi dettero al capo della rivolta, un condottiero sino-giapponese Zheng Chenggong (1624-62), derivata un titolo che gli era stato conferito (Guoxingye). Zheng Chenggong a partire dal 1647 iniziò a guidare scorrerie nel Guangdong, nel Fujian e nel Zhejiang, ma dopo una grave sconfitta presso Nanchino nel 1658, fu costretto a fuggire dalla Cina continentale per sbarcare a Taiwan alla testa di 25mial uomini nel 1661. L’isola era in quel momento occupata dagli olandesi, che furono subito scacciati. Il governo Qing non perse tempo e ordinò ai governatori delle cinque province costiere del meridione di proibire ogni commercio marittimo con Taiwan e di evacuare addirittura l’intera fascia costiera per isolare completamente i ribelli. Tale politica fu messa in atto negli anni sessanta e settanta e portò alla creazione di una striscia di terra di nessuno lungo la costa meridionale, con danni incalcolabili all’economia della regione. Il figlio di Zheng Chenggong, subentrato al comando della rivolta alla morte del padre nel 1662, tentò un’alleanza con gli inglesi, ma non seppe sfruttare l’occasione favorevole della rivolta dei tre imperatori. Rimasto isolato, non riuscì ad opporsi alla riconquista dell’isola da parte dei Qing che, nel 1683, occuparono Taiwan annettendola alla vicina provincia del Fujian e lasciandovi un contingente di 80mila uomini per prevenire l’eventuale ritorno degli olandesi. La fine della rivolta permise la rapida ripresa dell’economia regionale. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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