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Le tendenze storiche del primo Rinascimento


Il primo Rinascimento ha avuto tendenze storiche, ma non possiamo certamente affermare che esse siano state particolarmente accentuate. Leon Battista Alberti e Leonardo, ad esempio, mantengono un contegno generalmente indifferente, se non negativo, nei confronti di queste tendenze. Sono ancora troppo presi dalla gioia giovanile della creazione per avere desiderio di riflettere sul passato. Lavorando con tutte le forze per gettare il fondamento teoretico, è questo il lato che è più evidente nelle loro creazioni. Il concetto di determiane una periodicità dello sviluppo artistico è cresciuto su un terreno umanistico ed è stato un concetto di origine letteraria, non legato alla cognizione dell'opera d'arte. Appare per la prima volta nella celebre novella di Boccaccio su Giotto e messer Forese. Il Boccaccio lettore di Dante ha preso a modo suo, dalla Commedia, il concetto di dolce stil novo, e lo ha per primo applicato all'arte figurativa. Il precedente periodo “greco” dell'arte italiana, in cui l'arte era unicamente una delizia degli occhi per i profani, viene sostituito4 dallo stil nuovo di Giotto, il grande suscitatore della vera arte, sepolta per secoli. La naturalezza delle sue figure, nuova e definitiva per Boccaccio come per il cronista Giovanni Villani, ha per loro un senso diverso rispetto a noi. Questo concetto di “rinascimento” figurativo è stato presente sempre, sin da allora, nel pensiero italiano. Ciò determina la tripartizione dello sviluppo dell'arte secondo la quale tra i tempi antichi e la vera arte moderna si inserisce un lungo periodo di letargo, un “medio evo”. Questo concetto è stato formulato e sviluppato da Filippo Villani, nipote di Giovanni, nel suo elogio di Firenze. Lorenzo Ghiberti era giunto alla medesima costruzione storica, indipendentemente dal Villani. Secondo Ghiberti la decadenza, o meglio la stasi, inizia sotto Costantino, nel IV secolo, che distrugge i monumenti antichi e la tradizione letteraria dell'arte. La maniera neogreca inizia solo nl XII secolo, intorno al 1150, come debole e rozzo principio di un miglioramento, fin quando non giunge Giotto con la sua arte naturale. L'idea di un tale “risorgimento” dell'arte si appoggia ad un passo di Plinio dove il Ghiberti traduce appunto con “rinacque”. Leon Battista Alberti dimostra scarso interesse per la storia. In lui si trova il trito e specioso concetto che il fiorire dell'arte coincida con la floridezza e la potenza politica. Per smontare la sua teoria basta far notare il fatto che egli taccia del decadimento dell'architettura antica sotto l'impero romano e delle grandi cattedrali del Medioevo. In Filarete è appena adombrata, per la prima volta nella vera e propria letteratura artistica, la famigerata teoria dei barbari, a cui il gotico deve il suo nome. Gli ultramontani, come li definisce il Filarete, sono i veri autori del cattivo gusto, della maniera “moderna”.
Anche l'età di Giotto, per quanto riguarda l'architettura, è sotto il loro dominio, e l'età nuova appare, secondo lui, solo col Brunelleschi e con il ritorno alla maniera “antica”, l'unica vera. Antonio Manetti sviluppa ampiamente e coerentemente questi concetti nella biografia di Brunelleschi, nella grande digressione della storia dell'architettura. La trattazione inizia con l'origine di ogni architettura della costruzione utilitaria, la capanna primitiva, e con l'architettura orientale antica; tutto questo diviene arte solo in mano ai Greci. Con un lungo processo di sviluppo germogliano gli antichi “ordini”, contrassegno del Rinascimento, in cui esso vede avverato il suo sogno di regola e di armonia. Come nell'Alberti, e probabilmente in relazione immediata con lui, appare il concetto classicistico della connessione della floridezza politica ed artistica. L'egemonia dell'arte passa dalla Grecia a Roma, e crolla sotto l'impero romano. Succedono i barbari: Vandali, Goti, Longobardi e Unni che portano i propri architetti, soprattutto Tedeschi, poiché di arte non sanno nulla. Questa architettura barbarica, poi definita “maniera tedesca”, inonderà tutta l'Italia fino a quando Carlo Magno scaccerà i Longobardi, mettendo fine ai loro collegi – che saranno poi all'origine delle antiche corporazioni dei “maestri Comacini” - e porgendo la mano ai resti della Res Publica Romana. Carlo Magno porta con sé architetti romani che conservano qualche misero avanzo dell'antica tradizione; gli architetti restaurano anche Firenze, nei cui edifici più antichi, San Piero Scheraggio e i Santi Apostoli, brulla ancora un barlume delle antiche costruzioni romane.
In tutto questo vediamo un alone colorito di leggenda di due grandi avvenimenti della storia dell'arte, il cosiddetto rinascimento carolingio e il cosiddetto “Protorinascimento” della Toscana e dell'Umbria. Con la fine della dinastia carolingia, l'impero torna ai Tedeschi, e va di nuovo perduta la “buona” architettura da poco faticosamente recuperata. Da allora in poi in Italia si continuò a costruire in questa maniera “tedesca”, finché venne Brunelleschi, grande rinnovatore e animatore del nuovo stile, che si ricollega alla tradizione locale e al passato romano.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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