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C. Segre: la critica strutturalistica e semiologica


Critico e filologo, docente di filologia romanza, esordisce nel campo della critica stilistica e si afferma in seguito come uno dei più autorevoli esponenti italiani della critica strutturalistica e semiologica. Il valore contenutistico del libro di Cesare Segre, Notizie dalla crisi, cozza apparentemente col titolo dell’opera. Nel libro, infatti, Segre mostra la sua solita solidità, mettendo chiaramente in luce strutture e caratteri dei testi che ha analizzato, in maniera cartesianamente rigorosa e con un sottile senso della contraddizione.
Il primo capitolo costituisce la riflessione sulla crisi del titolo; ne seguono altri sedici che riprendono saggi ed interventi apparsi quasi tutti nel decennio che va dal 1984 al 1993, dedicati in maggior parte a problemi di teoria e metodo, e in parte a testi della tradizione italiana, oltre a varie escursioni verso altre letterature.
Il libro è strutturato in maniera tale che i sedici capitolo siano ordinati in una serie di gruppi riferiti a questioni teoriche che in un modo o nell’altro hanno a che fare con la “crisi”. Ognuno di questi gruppi è introdotto da una breve riflessione presentata in corsivo. È una strana struttura, che crea una sorta di dialogo tra quell’universo in crisi e una parola critica che continua a procedere in maniera cristallina, facendo leva su una inesauribile disposizione a distinguere e ad individuare forme e strutture, prolungandosi con sicurezza senza escludere la possibilità di incontrare falle nel panorama che lo circonda.
Del resto Segre ha sempre saputo associare critica e teoria, allontanandosi dal rischio di fare dei testi mere verifiche in re di presupposti teorici. È un critico che esige che il rapporto con la letteratura si dia in un orizzonte di ferma razionalità, mostrando che solo una disposizione razionale, illuministica, non disposta ad accettare vaghi aloni e confuse indeterminazioni, possa essere congrua con un pieno riconoscimento del valore della letteratura stessa.
Ma questa razionalità, questa fermezza, sembra spesso far affiorare un avvertimento della sua insufficienza: il cristallino procedere del linguaggio di Segre, il suo essere sempre in piena luce, sembra rinviare spesso ad un possibile risultato che improvvisamente vada al di là, dica di più sul senso dei testi studiati, offra una conclusione che però resta sempre elusa, evitata, e non raggiunta.
È nel libro del 1990, Fuori del mondo, che forse si può avvertire il segno della crisi in questo solidissimo critico italiano. Qui Segre distingue due crisi: una esogena e una endogena. La crisi esogena è probabilmente da attribuire allo svolgersi stesso del dibattito critico e teorico (quindi l’esaurirsi della vitalità della critica strutturalistico – semiologica per azione dell’estetica della ricezione, del decostruzionismo e della critica reader – oriented) ma pur dando alcune motivazioni plausibili della suddetta (lo strapotere dei media, la scuola, la confusione ideologica degli ultimi anni), Segre liquida brevemente questa parte della crisi, per dedicarsi compiutamente all’altra, quella endogena.

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