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Cristianesimo in Nietzsche. Senso di colpa ebraico e malafede



Nietzsche interpreta il cristianesimo come erede del platonismo che aveva costruito l’idea di un mondo intelligibile staccato da quello sensibile e lo aveva considerato come sede della verità e della virtù. In questo modo il platonismo aveva anche posto le basi per una morale della rinuncia che il cristianesimo aveva accolto e potenziato alla luce anche della tradizione ebraica. È dall’ebraismo che nasce la morale del risentimento, basata sulla negazione da parte dei potenti nei confronti degli ebrei della possibilità di agire liberamente. Gli ebrei sviluppano così dei sentimenti di avversione nei confronti dei potenti; da questi sentimenti però nasce il senso di colpa, ossia l’incapacità o meglio la scelta di non scaricare l’aggressione sugli altri, ma su se stessi. Questa sorta di autolesionismo secondo Nietzsche avrebbe le sue origini sulla credenza ebraica e poi sviluppata dal cristianesimo, secondo la quale esista sempre uno scarto e un debito tra Dio e l’uomo, che l’uomo potrà riscattare soltanto attraverso la sofferenza e la capacità di accettare delle ingiustizie. È da qui che nasce il senso di colpa il quale innesca un motore a scoppio che porta l’uomo a indirizzare i suoi istinti verso l’interno, al punto che essi diventano strumenti di autopersecuzione. Nasce allora la malafede: il dovere di fare ciò che in realtà è contrario alla natura umana viene travestito come “amore”, per cui anche se esistono delle azioni che un uomo non compierebbe spontaneamente, quelle azione “devono” essere compiute per amore di Dio (ecco la malafede che in un certo senso potrebbe essere identificata con l’ipocrisia).

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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