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Filosofia dell’Assoluto in Fichte



Lo sviluppo del pensiero di Fichte non poté essere conosciuto interamente a causa della pubblicazione postuma delle successive versioni della Dottrina della scienza. L’idealismo conosciuto di Fichte rimase allora un idealismo soggettivo (così lo definì Hegel) ossia un idealismo che rimandava tutto all’attività del soggetto, contrapposto a quello oggettivo di Schelling. In realtà Fichte sviluppa il suo idealismo dando ad esso un carattere sempre più religioso. Per sfuggire alle critiche mosse al suo sistema, considerato troppo chiuso in se stesso e nella soggettività dell’Io Fichte vuole dare al suo sistema un fondamento ontologico. Questo comporta una nuova nozione di infinito. Egli infatti aveva parlato di infinito, o meglio di assoluto, in termini i “produzione” che l’Io era in grado di compiere (distinguendo quindi l’Io assoluto dall’Io empirico). Fichte adesso intende assegnare all’assoluto un carattere metafisico, parlando perciò di un Essere infinito come principio ontologico di ogni realtà e dunque staccato completamente da un Non-io. L’origine di questo principio ontologico non è come volevano i romantici la natura, bensì (rimanendo in questo legato a Kant) la morale. È la morale che necessita di una volontà infinita che è principio e garanzia di un ordine morale. Per questo motivo non si tratta di intuire (attraverso l’arte o la natura) ma l’Assoluto può essere afferrato solo attraverso l’esperienza morale. Inoltre l’Assoluto per Fichte non è identificabile data appunto la sua natura (nemmeno con l’identità o l’indifferenza come voleva Schelling). Sarà la fede l’unico strumento a disposizione dell’uomo per conoscere o meglio avvicinarsi all’Assoluto.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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