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Junger. Società attiva e passiva


Nella società nichilista la malattia è allora bandita (nei campi di concentramento gli uomini non efficienti venivano eliminati). Secondo Junger si avranno due tipi di reazione a questa società: quella attiva che sarà volta al potenziamento di sé e quindi al conformarsi alla società; e quella passiva che è vicina alla rassegnazione; ma tale rassegnazione non va letta solo negativamente ma come “resistenza nella sofferenza” come “non conformazione” alla società nichilista. Una sofferenza che permette però di resistere all’annientamento della propria individualità. Solo in questo moo si può sperare in un riscatto. In effetti ammette Junger questi due atteggiamenti si intrecciano nella vita di ciascun individuo (questo continuo mescolarsi è già stato messo in luce da Nietzsche. Secondo Junger inoltre il nichilismo ha più presa nelle società più rozze, quelle meno capaci di guardarsi da esso (è qui che emerge l’anima del tedesco che si sente non a torto padrone di una grande tradizione spirituale, quasi come se volesse dire che la Germania all’interno dell’Europa e ancor di più i filosofi tedeschi sono più in grado di altri di guardarsi dal nichilismo). Nelle società più avanzate è più probabile trovare individui che non accettino la società in cui vivono e che possano essere sintomo di riscatto. Per questo secondo Junger non tutto ancora è andato perduto. In effetti afferma che una piccola dose di nichilismo in ogni società è ineliminabile e inevitabile. Il problema nel momento in cui questo nichilismo diventa un fenomeno allargato e prende il sopravvento sulla parte sana della società, non la critica ma la distrugge.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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