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Vita etica in Kierkegaard



La vita “etica” invece è quella del marito ossia di colui che fermandosi a pensare sviluppa una dimensione che porta ad una maggior stabilità. La sua è contrassegnata dalla scelta. L’uomo etico non teme allora la ripetizione, ma anzi trova in essa la conferma della sua iniziale decisione e quindi arriva ad amare la ripetizione. Ma la vita etica non rappresenta ancora la piena realizzazione dell’uomo, il quale sente, man mano che sviluppa la sua coscienza morale, un desiderio sempre più forte di eternità che il mondo non può donargli. 

Anche l’etica è frutto del mondo e muore con il mondo anche attraverso tanti fallimenti. Scatta in lui il pentimento a causa dell’inadeguatezza che sente di fronte all’immensa moralità di Dio. È in questo modo che anche nel caso in cui si viva una vita etica si può sfociare nell’angoscia (intesa in particolare come impotenza) e nella disperazione. L’angoscia rappresenta uno stato d’animo generale, indeterminato che tende a far sentire l’individuo vuoto. È per questo motivo che una volta caduti in questo stato d’animo è realmente difficile uscirne. La disperazione ha gli stessi connotati dell’angoscia ma non riguarda il rapporto dell’uomo con il mondo ma con se stesso.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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PAROLE CHIAVE:

kierkegaard
fase etica