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Bayle e Spinoza sulla tolleranza religiosa



Nel secolo XVII la rivendicazione della libertà di coscienza, con la concessione della libertà di culto agli ugonotti e ai giansenisti, accentua il suo significato politico e si presenta come una contestazione all’assolutismo, dando vita al cosiddetto “movimento libertino”.
Bayle lotta contro ogni forma di intransigenza. Egli sostiene addirittura che anche gli atei devono essere lasciati liberi in coscienza; anzi pere certi versi una società di atei è più disposta ad accogliere i principi che la retta ragione detta. Anche perché non è vero che la religione assicura stabilita politica dal momento che i fanatismi sono causa di lotte sanguinose. Ma anche all’interno del cristianesimo, affinché venga colto il senso pieno del messaggio di Cristo, l’utilizzo della ragione non può essere precluso. Solo l’esame storico – critico del fatto religioso può discernervi ciò che vi è di razionale e ciò che è frutto dell’ignoranza umana. Ma è vero anche che in materia di fede è impossibile giungere ad una verità putativa, frutto questa solo dell’indagine razionale e l’unica capace di portare ad una verità oggettiva. Egli ammette che ogni Chiesa abbia il diritto di difendere la propria posizione in campo dogmatico e sacramentale, ma esclude che l’apostasia comporti conseguenze civili o penali. La Chiesa deve possedere un suo diritto che decide in certi casi i rifiutare un credente, ma egli non può essere rifiutato anche dallo stato civile.
Spinoza assume un atteggiamento analogo, anche se egli abbandona del tutto quella sfumatura opportunistica e machiavellica dell’instrumentum regni di Bayle. La tolleranza diventa in Spinoza affermazione razionale della libertà e della democrazia in senso pieno. Egli parla solo di due limiti alla libertà: non agire contro lo stato e non professare teorie che dissolvano il patto sociale. Questi sentimenti secondo lui nascono dall’odio, dall’ignoranza e dalla superstizione.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA di Carlo Cilia
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