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Dottrina luterana della giustificazione




Come abbiamo detto partendo dalla lettere di Paolo ai Romani, Lutero sostiene che l’uomo è per sua natura peccatore e solo la fede può salvarlo. Egli non possiede alcuna libertà di scelta tra il bene e il male perché è stato macchiato dal peccato originale. Dal momento che egli si accorge di non poter sfuggire alla concupiscenza che è comunque condizione di tutti gli uomini egli si aggrappa al testo paolino. Detto ciò egli può anche mettere in luce la differenza tra Antico e Nuovo Testamento: giustizia di Dio nel Nuovo Testamento significa giustizia passiva che proviene dal sacrificio di Gesù in croce e non dalla perfetta osservanza dei precetti della Scrittura. La legge serve soltanto a condannare l’uomo come peccatore, a dimostrargli quanto egli non sia in grado di compiere il bene, ma non serve in alcun modo a salvarlo. Dalla negazione totale della libertà, che vede l’uomo schiacciato dal peccato originale egli ricava una triplice nozione di libertà:
libertà dalla legge morale e non solo dai precetti rituali come voleva Erasmo; dall’altra parte chi ha fede, farà opere buone soprattutto in virtù del fatto che non da quello dipende la sua salvezza e dunque quelle opere buone avranno più valore perché disinteressate.
libertà dall’autorità di magistero papale come unico interprete autorizzato della Scrittura
libertà da ogni istituzione; unico capo e Cristo ciò che rimane è la comunità ogni qualvolta essa si riunirà. Ciascun laico è sacerdote o mediatore di se stesso nel rapporto con Dio

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA di Carlo Cilia
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