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Religione rivelata e Scrittura in Spinoza



Spinoza scrisse un’altra opera importante: il Trattato teologico-politico intendendo per teologia una religione rivelata. Egli in questo trattato in maniera scandalosa vuole contraddire sia la tesi degli ortodossi che a quella degli eterodossi: i primi sostengono che la Scrittura e la sua interpretazione sono e devono essere assistite dallo Spirito Santo; i secondi ammettono invece il diritto della ragione di interpretare la Scrittura. Ma entrambi sono d’accordo su un punto: la Scrittura coincide con la verità. Questo non è vero per Spinoza che sostiene che l’unico strumento per indagare la scrittura è la filologia. All’affermazione “Dio è geloso” egli ammette una verità “scritturale” ma non la fa coincidere con la verità (anche perché Spinoza non ammette che Dio abbia passioni). La Scrittura allora non si propone di insegnare delle verità ma di indurre all’obbedienza. Tutta la teologia razionale di origine cristiana non ha motivo di esistere. Basta credere che Dio è uno e che esso richiama all’obbedienza e all’amore per il prossimo per cogliere l’essenza delle Scritture. Questa teoria ha conseguenze politiche di grande rilievo: ammette la libera ricerca filosofica: filosofia e Rivelazione non hanno nulla a che fare e quindi ognuno è libero di fare le sue ricerche e dire ciò che vuole senza essere necessariamente considerato anatema. La filosofia non può allora più accadere che la filosofia abbia conseguenze negative sulla religione. Neppure lo Stato allora può legittimamente opporsi alla libertà di pensiero.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA di Carlo Cilia
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