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La campagna d’India e la morte di Alessandro Magno

Conquistato l’Impero persiano in soli tre anni per Alessandro sarebbe stato opportuno smettere la veste del condottiero militare ed indossare quella di imperatore che da stabilità al suo nuovo impero; un impero così vasto ed eterogeneo che governarlo appariva a tutti come un’impresa impossibile. Ma Alessandro era una di quelle persone dall’energia e dalle doti straordinarie che più che operatori della Storia sono operati dalla Storia, che non si capisce che ruolo abbia in serbo per loro. E così non lo capiva nemmeno Alessandro, che preso da una brama di conquista sempre più ardente come sempre più indefinita, guidò il suo esercito verso Oriente, attraversando le sconfinate distese dell’altopiano iraniano e dell’Afghanistan, sconfiggendo eserciti dopo eserciti, fondando città e incontrando popoli e culture fino ad allora solo leggendarie. Raggiunto il remoto Kashmir puntò improvvisamente a Sud e, seguendo il corso dell’Indo, giunse in India, dove sconfisse in una cruenta battaglia il re indiano Poro, che aveva osato sbarragli la strada (326). Alessandro avrebbe voluto entrare in India e raggiungere l’Oceano Indiano, ma il suo esercito ormai stremato e incapace di comprendere dove infine volesse arrivare il suo signore si ammutinò, o meglio chiese rispettosamente ad Alessandro di tornare verso la Grecia. Questi, dopo essersi terribilmente infuriato ed essere rimasto chiuso per tre giorni chiuso nella sua tenda, alla fine uscì e acconsentì ad iniziare il lungo viaggio di ritorno, che fu durissimo. Nel 324 Alessandro e ciò che rimaneva del suo esercito giunsero finalmente a Babilonia, che fu eretta capitale. 
Qui il grande sovrano si fermò un anno, dedicandosi all’amministrazione dell’impero e alla progettazione di nuove campagne militari, ma anche alla ridefinizione degli usi di corte: abbandonò infatti il sobrio rituale greco-macedone, che voleva il re come un primus inter pares e assunse gli usi orientali, nei quali il sovrano era considerato una divinità al cui cospetto i sudditi dovevano inchinarsi (e ciò gli alienò non poco le simpatie fra i greci ed anche fra i suoi stessi generali macedoni). Ma ormai Alessandro era diventato difficile da capire: in particolare sembra lo avesse stravolto la morte di Efestione, il suo giovane ed adorato amante, che volle onorare con funerali degni di una divinità. Quanto all’Impero, per dare stabilità alla sua conquista Alessandro sposò Roxane, una delle figlie di Dario, ed invitò i suoi generali a fare lo stesso. L’Impero era davvero troppo esteso e così le satrapie persiane furono mantenute ed i funzionari locali furono solo affiancati dall’aristocrazia greco-macedone che grazie alla politica dei matrimoni misti si radicò su territorio. A parte alcuni eccessi d’ira Alessandro si rivelò un sovrano illuminato e garantì ad ogni popolo conquistato di mantenere la sua lingua, la sua religione d i suoi costumi. Come suo padre Filippo anche Alessandro seppe essere generoso verso le popolazioni conquistate e ciò permise all’Impero di conservarsi intatto almeno fino alla sua morte, che giunse prematuramente nel 323 forse a causa di una febbre malarica. A partire da quella data i suoi generali iniziarono a contendersi la successione ed in pochi anni l’unita dell’Impero ed il sogno di fusione etnica fra greci e persiani naufragò irrimediabilmente. Così, con la morte di Alessandro nel 323, si concludeva la storia dell’Impero macedone. Una storia durata appena 23 anni (considerandola dalla Conquista della Grecia da parte di Filippo alla morte di Alessandro), ma costellata di successi rimasti leggendari.

Tratto da STORIA DELLA GRECIA ANTICA di Lorenzo Possamai
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