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La seconda guerra persiana (480-478)

Per i persiani la sconfitta di Maratona rappresentò invece solo un grave inconveniente. Dario iniziò subito i lavori per allestire una nuova spedizione, ma la morte lo raggiunse ed essi dovettero essere portati a termine da suo figlio Serse, sotto il regno del quale lo scontro fra persiani e greci raggiunse il suo apice. Tuttavia questa volta i greci si erano preparati: per iniziativa di Temistocle, un lungimirante uomo politico ateniese, l’assemblea cittadina decise che i proventi delle miniere d’argento di proprietà dello stato, anziché essere distribuite fra i cittadini, fossero destinati ad armare una flotta di triremi (un nuovo tipo di nave da poco collaudato). Ma non solo Atene si preparava allo scontro imminente: la maggior parte delle polis greche si unirono in un’alleanza antipersiana con a capo Atene e Sparta. Tuttavia diverse polis, fa cui soprattutto Tebe, preferirono scendere a patti con i persiani, convinte probabilmente dell’impossibilità di resistere ad un impero così forte. 
 
L’attacco persiano si svolse sia per terra che per mare: nel 480 un gigantesco contingente di truppe attraversò il Bosforo e puntò su Atene attraversando la Tracia persiana e la Tessaglia (che era stata abbandonata perché indifendibile), mentre una squadra navale lo seguiva costeggiando, assicurando i rifornimenti e pronta ad attaccare la flotta ateniese. La linea di difesa greca fu stabilita al passo delle Termopili, l’unico passaggio fra la Grecia settentrionale e quella centrale, che a quel tempo era un sentiero largo appena 15 metri circondato da pareti a strapiombi (oggi i depositi alluvionali hanno talmente alterato la linea costiera che il passo è diventato una pianura paludosa larga circa 4 chilometri). A difendere questo angusto passaggio furono inviati 300 opliti al comando del re spartano Leonida, accompagnati da 4000 soldati di altre polis della coalizione. Si trattava di una forza ridicola al cospetto dell’esercito persiano, che era di almeno venti volte superiore, tuttavia riuscì a sbarrare il passo agli invasori per due giorni. Alla fine un contingente scelto persiano aggirò lo schieramento ellenico, costringendo i greci alla fuga, tranne i 300 opliti di Leonida, che si sacrificarono fino all’ultimo uomo entrando nella leggenda come l’emblema del coraggio spartano. 
Rimane l’interrogativo del perché gli spartani inviarono alle Termopili sono 300 opliti, chiaramente destinati ad essere sconfitti. Secondo alcuni ciò accadde perché il grosso dell’esercito spartano era immobilizzato a causa delle Olimpiadi; per altri invece, gli spartani non volevano impegnarsi così lontani dal Peloponneso, ma mirando a mantenere l’alleanza con Atene e il ruolo guida nella coalizione dovevano dimostrare di essere determinati alla lotta e l’eroico sacrificio di Leonida sarebbe servito proprio a questo. 
Da un punto di vista militare le Termopili furono però una sconfitta, che apri a Serse la strada per Atene. Si trattava di un duro colpo, ma gli ateniesi avevano avuto il tempo di abbandonare la città al suo triste destino e di rifugiarsi nell’isola di Salamina (posta a pochi chilometri da Atene), da dove dovettero assistere al triste spettacolo delle fiamme che si levavano dai tetti delle loro case e dall’acropoli violata. A Salamina essi si riunirono in assemblea per decidere come salvare le sorti della guerra; la maggioranza era dell’avviso di ritirarsi nel Peloponneso, e con loro il comandante in capo, l’ammiraglio spartano Euribiade. Ma ancora una volta prevalse Temistocle che convinse i greci ad accettare battaglia per il giorno dopo.
La battaglia navale di Salamina fu un successo incredibile per le forze coalizzate greche; la grande flotta persiana fu costretta ad infilarsi nell’angusto canale di Salamina cadendo nella trappola tesale da Temistocle, che avendo a favore i venti e le correnti e potendo contare su navi più maneggevoli e marinai più esperti, non ebbe difficoltà a sbaragliare letteralmente la flotta avversaria. Privato della flotta (che assicurava i rifornimenti) e col rischio che l’eco della sconfitta spingesse le polis greche che gli si erano alleate a cambiare fronte, Serse fu costretto a rientrare in patria. Lasciò però in Grecia il grosso dell’esercito al comando del generale Mandonio. 
Ma già nell’autunno dell’anno successivo (479), l’esercito di Sparta rinforzato dalle altre forze coalizzate greche e guidato dal re spartano Pausania, attaccò le forze persiane accampate a Platea, in Beozia, travolgendole completamente (lo stesso Mandonio morì nello scontro). La battaglia di Platea rivelò ancora una volta la netta superiorità della tattica militare greca, che grazie alla falange oplitica era capace di fronteggiare un nemico di molto superiore in numero ma che combatteva come una massa disordinata. Contemporaneamente la flotta greca-ateniese attaccava e distruggeva quello che rimaneva della flotta persiana, nella battaglia navale di Micale, presso Mileto. 
Con queste sconfitte i persiani dovevano abbandonare ogni velleità di conquista della Grecia. La Tracia, l’Ellesponto e le città ioniche della costa egea dell’Anatolia tornarono libere e si concludeva così il lungo capitolo delle guerre persiane. I greci avevano saputo combattere strenuamente, sconfiggendo un nemico ben più forte e assicurando così la sopravvivenza della propria civiltà e della propria libertà. 

Tratto da STORIA DELLA GRECIA ANTICA di Lorenzo Possamai
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