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Carlo Emilio Gadda – Il corpo di Liliana


Il romanzo, scritto nel 1957, è un culmine della dissipazione e del plurilinguismo di Gadda. Vi si intecciano italiano comune, il meridionale-romanesco di Ingravallo, il romanesco o gli enunciati misti di lingua e dialetto dei personaggi romani medio-bassi, le cui battute finiscono tra l'altro per formare, un po' alla maniera del Belli, una sorta di “coro” commentante; inserti di dialetti settentrionali come il veneto di un altro personaggio, la Menegazzi; latinismi e relative citazioni latine; forestierismi, specie francesi; tecnicismi di varia estrazione.

L'inventività linguistica dell'ingegnere, di parole oltre che di mestiere, emerge soprattutto nei suoi neologismi non di rado sarcastici, in primo luogo nel settore della formazione delle parole. Non c'è dubbio che molti addendi di questa mistura vanno messi puramente in conto delle pulsioni stilistiche barocche o scapigliate di Gadda, incapace di scrivere pagine che non siano lavorate fino in fondo, anche a scapito della fluidità del racconto; ma ancor più vero che il suo plurilinguismo è il corrispettivo di una visione del mondo come caos stridente e inestricabile (il mondo è plurilingue!): nel caso specifico correlata anche all'idea del Commissario Ingravallo che nelle indagini al concetto di causa vada sostituito quello di cause plurime, e che il mondo in totale sia un nodo o groviglio, o garbuglio o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo (qui è chiaro il gusto gaddiano per le sinonimie).

Non bisogna naturalmente credere che i diversi registri siano sempre e naturalisticamente addetti a definire “voci” diverse; s'intrecciano invece con più libertà, e questo vale pure per il narrato del narratore, che assume spesso elementi del romanesco per calarsi meglio nell'ambiente e per farsi, un poco, a sua volta, “coro”. Passa da queste parti, probabilmente, anche la diffidenza, costante in Gadda, per il ruolo di narratore onnisciente. Ed è ugualmente possibile che il tasso di plurilinguismo sia accresciuto anche in questo brano dalla frequenza di descrizioni, digressioni, “a parte” che troverebbero minor luogo in un narratore più “nativo” e disteso di lui.

Le prime dieci righe del brano preparano in modo ottimo alla scoperta del cadavere. Frasi brevi o brevissime, anche nominali (2 – 3, 5 – 6 e finalmente 9 – 10), puntini sospensivi, suoni smorzati o assenti (parlottare, sussurro, muti) e sul versante visivo l'omologo ombra, anzi le persone ridotte a ombre. Poi la visione, che certo è da intendersi dal punto di vista del Commissario, già conoscente e ammiratore dell'assassinata, come è accennato a 1 – 2. Il punto di vista soggettivo è poi rilevato fra l'altro dal rincorrersi delle esclamative, e degli stessi puntini di sospensione. Così avviene che l'italiani anche elevato della descrizione (il bellissimo taciturne dimore ad esempio) via via accoglie in sé spezzioni o elementi o sfumature romaneschi.

La descrizione della morta sembra fatta apposta per dar ragione ad alcuni interpreti di Gadda secondo i quali egli sarebbe soprattutto un “lirico” e certamente uno scrittore che non conosce il mondo che nei dettagli, e dunque tendenzialmente un frammentista, ragion per cui la sua polifonia va vista anche in questo senso. Molto di più, sono pagine di un erotismo profondo, tanto più perché spogliano il già spogliato, e perché quel corpo di donna inerte e incapace di difesa ha le forme segrete ed eleganti che sembrano opporsi a quelle generose ed esibite di tante comparse femminili del romanzo; qui la portiera è cicciosa. Siamo nei paraggi di uno stupro mentale.

Da osservare subito come la descrizione del corpo sia separata da quella delle ferite e del sangue. E l'analiticità dello sguardo contempla e si può dire percorre quelle nudità ad una ad una e con ritorni sullo stesso motivo; tratto significativo, Ingravallo si difende dalla provocazione da lui stesso cercata mediante il dialetto e i paragoni devianti, l'uno artistico e l'altro balneare. La visione del corpo è intonata ai colori e ai toni del bianco; gli sono complementari i colori tenui del lilla dell'elastico che pareva dare un profumo e del biondo delle calze. Ci sarà pure allusione alla purezza e alla bontà dell'uccisa e contrasto netto col rosso del sangue che dominerà in seguito, ma la ragione fondamentale è altra. E Ingravallo indugia continuamente sui particolari, dilatandone fantasticamente la mera e pur già sconvolgente oggettività. Sintomatico infine che dalla descrizione delle ferite e del sangue si torni a quella del corpo scoperto, anzi, con un salto, dagli occhi alle mutandine, alle cosce, alle calze, al sesso.

La rappresentazione del volto, delle graffiature e del sangue, che si svolge per gradi dalla precedente, non è meno circostanza, con tratti di professionalità poliziesca che però cedono al lirismo della pietà e dell'eros, chiamando ancor più in gioco le forme tipiche della prosa gaddiana: iterazione, collocazione a fine periodo degli avverbi e presenza di misure poetiche.



Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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