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Cesare Beccaria – La tortura


Il capitolo XVI, Della tortura, di cui riporto la maggior parte, è, insieme a quello sulla pena di morte, il più potente del gran trattato di Beccaria, l'opera di punta, e la più diffusa in Europa, dell'Illuminismo italiano. E non è neppure il caso di rilevarne l'attualità perfetta in un'epoca come la nostra che conserva largament l'una e l'altra ignominia. L'attualità del capitolo e del trattato è tanto più grande, si deve aggiungere, in quanto l'autore, da vero illuminista, combatte le due istituzioni senza ricorrere affatto ai sentimenti, ma facendo puramente appello alla ragione e alla logica, nonché a una robusta impostazione sensistica: ne è forse spia l'uso deglo aggettivi ridicolo e assurdo piuttosto che barbaro e termini simili e del sostantivo etichetta lume come opposto di ignoranza. La parola del brano, infine, come ci aspettiamo, è verità.
È utile, anche per metterne in rilievo la consequenzialità, riassumere citando i punti attraverso i quali Beccaria svolge la sua confutazione dell'opportunità dell'uso, allora diffusissimo, della tortura, e di quelli che più avanti chiamerà i funesti paralogismi di una razionalità deviata.

- Ridicola è l'idea che la tortura e il conseguente dolore, fatto fisico, possano purgare l'infamia, che è un mero rapporto morale.
- L'istituto della tortura, e della relativa confessione, sembra derivato dalle idee religiose e spirituali
- La tortura si applica a chi durante l'esame cade in contraddizione, ma in quelle condizioni cadere in contraddizione è molto più facile che nella vita normale.
- La tortura assomiglia ai giudizi di Dio, e come in quelli è in gioco la sensibilità dei singoli. Ne deriva, fra l'altro, la frequenza di confessioni fatte da innocenti solo per far cessare il dolore.
- L'esito della tortura è un affare di temperamento e di calcolo.
- La verità, che difficilmente si scopre in un uomo tranquillo, tanto meno si scoprirà in chi è in preda alle convulsioni del dolore
- L'inadeguatezza della tortura è avvertita da chi ha stabilito che colui che non confessa dopo di essa con giuramento, è sottoposto a nuova tortura tre volte o più. Infame petizione di principio che privilegia il robusto e il coraggioso rispetto al fiacco e al timido.
- La tortura mette l'innocente in una condizione peggiore del reo, perché il primo, in quanto innocente, ha sofferto una pena indebita mentre il secondo, se assolto, ha cambiato una pena maggiore in una minore.
- La legge che ordina la tortura pretende di creare un sentimento opposto al naturale amor proprio e così pretende che l'uomo coltivi odio di sé stesso.
- Si applica la tortura anche per scoprire se l'inquisito è colpevole d'altri delitti, secondo la deduzione logica.
- La si applica anche per scoprire eventuali complici del colpevole.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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