Skip to content

Ippolito Nievo – La Pisana e Carlino

Ippolito Nievo – La Pisana e Carlino


Per ragioni biografiche Nievo fu esposto all'influsso e alla conoscenza di vari dialetti settentrionali, per quanto spesso concordi nei fenomeni: il friulano, meno importante nella sua opera di quanto si pensi; il mantovano, parlata del padre e del luogo dove visse a lungo da adulto; e soprattutto il veneto, lingua della madre e dell'amato nonno, dell'infanzia e della giovinezza. Dunque venetismi e in genere settentrionalismi nordorientali, presenti naturalmente anche nel brano: dabasso, scuro, malegrazie, slargato, muraglie. Quanto alla tinta di fondo del suo italiano, è l'italiano di chi, come molti altri allora, aveva letto i Promessi Sposi nell'edizione ventisettana, senza potere o volere fare i conti con la riforma radicale della quarantana, e appare quindi ai nostri occhi piuttosto colorito in senso letterario: ma tale certo non sembrava allo scrittore stesso, che doveva senz'altro considerarlo semplicemente come l'italiano. Nel Nievo c'è purilinguismo senza preziosismo: movi, movermi, moverti; ella, sempre censurata da Manzoni nella Quarantana; avea, ingombra, giungere, sclamare, acchetarla; denota non sicuro possesso della lingua la parola divelta in luogo di “strappata”. Non mancano tracce di quel toscano  vivo che Nievo aveva appreso soprattutto leggendo l'ammiratissimo Giusti e che, ancora una volta diversamente dal Manzoni della quarantana, in lui non è il fondamento istituzionale ma una sapida coloritura: succiare, buscarti, quatto, Addio nel senso di arrivederci; è invece sia settentrionale che toscana la costruzione con la ridondante (120, 121, 124). Non c'è dubbio che la grande forza psicologica e la suggestione erotica di questo episodio sono connesse all'invenzione del personaggio della Pisana, il maggiore di tutto Nievo. I due sono cugini, il che aggiunge ancora qualcosa al loro amore nato nell'infanzia, ma lei, più piccola, è la figlia ultima e viziata dei Conti di Fratta, lui, Carlino – Narratore, è un loro nipote bastardo di qualche anno più anziano e precocemente saggio, accettato nel castello con un ruolo in sostanza di servo. Lui ama la bimba con un'adorazione che non ha riserve, lei anche ma capricciosamente, e mettendolo da  parte quando si presentano sulla scena ragazzini ricchi e ben vestiti. E Carlino è fin dall'inizio un personaggio “medio” o “mediocre”, e tanto più in quanto si racconta da vecchio; la Pisana, nella sua impulsività, può anche innalzarsi al sublime e comunque portare sempre i segni dell'eccezionalità e mobilità da donna costantemente “in fuga”, e perciò adorata, si deve il fatto che il narratore per così dire la ridescrive quasi ad ogni comparsa sulla scena. È classicamente un rapporto padrona – schiavo, che lungo il romanzo si attenuerà solo durante la convivenza amorosa dei due a Venezia, e quando, a Londra, la Pisana s'umilierà a chiedere l'elemosina per le strade per sovvenire Carlino cieco. Anche nelle nostre pagine l'indole capricciosa e imperiosa, ma appassionata, della Pisana si dispiega in pieno. La punizione che la puttina vuole infliggere a sé stessa suona come un ordine senza appello, e in tutte le sue battute è l'io a dominare, e ancor più il verbo volere.Il forte erotismo dell'episodio fa il suo quasi logico percorso dall'apparizione della bimba mezzo ignuda nella sua camicina a piedi nudi e tutta tremante di freddo al finale atto masochistico imposto imperativamente, ed ha il suo centro nel passo straordinario del paragrafo 120 in cui la Pisana bacia e succhia la ferita di Carlino; una scena spintissima per l'epoca, che Nievo sublima nel paragone delle ferite dei crociati. È una donna fatta e finita Carlina, ma Nievo non manca di sottolineare, tramite diminutivi e vezzeggiativi, l'età e l'aspetto della Pisana: camicina, fanciulletta, vanerella, piccoletta, testolina, piedini, canticchiando, baciuzzandomi. Continue implicazioni di eros e infanzia, eros e grazia. Questa scottante ma vitalissima materia è gestita dallo scrittore con un'arte sovrana del dialogo, da definirsi non solo metaforicamente goldoniana. La prima battuta della Pisana s'apre sul suo tipico intercalare: Oh bella! Tutto il brano è carico delle duplicazioni espressive caratteristiche del dialogato:  Cosa hai? Cosa fai?; Oh cara la mia Pisana, cara la mia Pisana; Bene Bene; Basta Basta; No no; Addio, addio. Un dialogato rotto, inventivo e appassionato, che ha l'impeto e l'immediatezza dell'infanzia e che ci sembra quasi di udire, è ancora fra le cose che rendono memorabile questo episodio delle Confessioni.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.