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Il nuovo linguaggio di Arnold Schonberg

Gli ultimi decenni del XIX secolo avvertono chiaramente la difficoltà di creare un linguaggio – musicale incluso – che sappia fare i conti col venir meno di ogni certezza e di ogni valore consolidato. La consapevolezza di questa difficoltà è l’unico comune denominatore agli svariatissimi linguaggio musicali del XX secolo.
- La scuola di Vienna: Arnold Schonberg, Alban Berg e Anton Webern.
Arnold Schonberg nasce a Vienna nel 1874, e muore a Bretwood Park, Los Angeles, nel 1951. La sua fu una formazione musicale essenzialmente da autodidatta, pur avendo ricevuto lezioni da Zemlinsky. Da Vienna fuggirà nel 1926, per la generale ostilità del pubblico e degli ambienti ufficiali, trasferendosi a Berlino, da cui emigrerà nel 1933 all’ascesa di Hitler, per stabilirsi negli Stati Uniti.
La prima fase della produzione musicale di Schonberg si inserisce con originalità nel panorama del tardo romanticismo, a metà tra gusto postwagneriano e Brahms. La prima definitiva rottura con le convenzioni del sistema tonale risale al biennio 1907 – 1908, con gli ultimi due tempi del secondo Quartetto op. 10. Da qui seguì una serie ininterrotta di capolavori fino agli anni della prima guerra mondiale: sono pagine tra le più significative ed emblematiche dell’espressionismo musicale, dove il rifiuto delle gerarchie tonali, lo sconvolgimento delle categorie formali tradizionali e l’originalità delle intuizioni timbriche appaiono frutto di una vera e propria necessità interiore; una necessità che assume i toni del gesto di rivolta, proprio di chi vuole preservare la propria identità umana in un mondo teso invece a distruggerla. Ricordiamo in particolare di questo periodo due brevi lavori teatrali: Erwartung (Attesa) e Die gluckliche Hand (La mano felice) oltre al Pierrot Lunaire, un ciclo di 21 brani su poesie del poeta simbolista belga Albert Giraud. L’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini ora grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate, grazie alla vocalità estraniata del cosiddetto Sprechgesang, e alle straordinarie invenzioni strumentali che lo accompagnano. Lo Sprechgesang è uno stile vocale nel quale si fondono le caratteristiche proprie del parlato e del canto; questo genere di scrittura rivoluziona il rapporto parola-suono aprendo al canto enormi possibilità.
Nel primo dopoguerra Schonberg lavorò ad un oratorio, La scala di Giacobbe, che poi rimase incompiuto, ed elaborò il metodo dodecafonico, in cui ravvisava la soluzione necessaria a dare nuova coerenza costruttiva alle composizioni che facessero a meno delle tradizionali gerarchie tonali.
Nelle sue composizioni Schonberg usa questo metodo come uno strumento di superamento dei nessi tonali e in funzione di una sorta di ultratematizzazione, volta a ridurre tutta una composizione ad una cellula unitaria, facendo peraltro coesistere la dodecafonia con il ritorno alla strutture formali tradizionali che negli anni precedenti aveva più radicalmente messo in discussione. L’evoluzione di Schonberg muove, dunque, nella direzione di un costruttivismo che non approfondisce certe, sconvolgenti, modernissime, intuizioni delle opere espressioniste, ma che neppure ne rinnega la sostanza, lasciando emergere sotto l’apparente sforzo di oggettivazione, i fremiti e i sussulti del linguaggio espressionista del periodo precedente.
Un caso emblematico di tale situazione solo le Variazioni op. 31 per orchestra (1926 – 1928). In Schonberg sono sempre coesistiti arditezze innovatrici e profondi legami con la tradizione: la tensione derivante da tale duplice aspetto, che gli valse l’appellativo di “conservatore rivoluzionario”, fu sempre un elemento caratterizzante della sua poetica. Tuttavia una nostalgia del passato sembrò emergere nei primi anni dell’esilio americano con più evidenza, spingendo il musicista, oltre al pieno recupero delle sue radici ebraiche, a ritorni alla tonalità, o a riprese e allusioni tonali all’interno di opere dodecafoniche.
Nelle opere degli ultimi anni Schonberg superò anche questa fase, in una serie di capolavori che recuperarono un’eccezionale libertà creativa, comprendendo tutte le esperienze precedenti e facendo rivivere alla loro luce l’arditezza e la fantasia degli anni dell’espressionismo.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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