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La musica di Maurice Ravel


Maurice Ravel (Ciboure 1875 – Parigi 1937) fu musicista di forte individualità, ma deve i fondamenti del suo linguaggio alla conoscenza delle opere debussiano degli anni Novanta, specie del Prélude à l’après – midi d’un faune, che fu per lui straordinariamente rivelatore. Agli inizi Ravel fu considerato addirittura una sorta di seguace di Debussy, e ciò gli creò non poche difficoltà, sia perché Debussy per i contemporanei era ancora in odore di eresia, sia per elementari motivi di autoidentificazione, che lo portavano a non accettare pacificamente una collocazione che rischiava di mettere in ombra la sua originalità.
Del resto i rapporti di Ravel con il mondo musicale ufficiale non furono inizialmente facili. Nel 1905 ad esempio gli rifiutarono il Prix de Rome, con conseguenti cori di scandalo e dimissione di Théodore Dubois dalla direzione del Conservatorio. Ravel si figura come un formidabile assimilatore, non solo degli stili musicali a lui vicini, ma anche di molti aspetti della tradizione, come la musica rinascimentale e barocca, e del folklore, come i numerosi omaggi a quello spagnolo (il famoso Bolero del 1928).
Questa vocazione assimilativa, che non è assolutamente presente in Debussy, è un chiaro sintomo del cambiamento dei tempi. Nelle mani di Ravel la musica sembra rinnovare il suo statuto estetico: da strumento di manifestazione dei moti dell’animo, diventa a poco a poco uno strumento di compiaciuta elaborazione del lessico musicale. Come diventerà tipico nella musica colta del Novecento, il linguaggio musicale tende ad assolutizzarsi, trasformandosi da strumento di espressione a contenuto dell’espressione. Ravel è un compositore che identifica la sua personalità di artista nel piacere della scrittura più che nella confessione intima.
Aveva una maniacale coscienza del suo status di artigiano della musica, al punto che Stravinskij lo definì “un orologiaio svizzero”, per la sua abitudine a consegnare al pubblico opere totalmente rifinite, pulite fin nei minimi particolari. La sua scrittura, del resto, padroneggiava i più sottili artifici con una impenetrabile perfezione, una lucida, lineare chiarezza, e affrontava la sua materia con la pazienza e l’entusiasmo di un miniatore antico.
Si interessò ad ogni aspetto della scrittura musicale, ma la sua passione predominante riguardava il trattamento dell’orchestra, e fu su questo terreno che la sua creatività divenne inesauribile. Pur inserito in un mondo come quello della Parigi simbolista e impressionista, a cui Ravel rimase sempre indissolubilmente legato, egli riuscì a ritagliarsi uno spazio inconfondibile e diverso, quello del distacco fra l’intimità del mondo personale e l’oggettività della sua realizzazione sonora.
Di lui ricordiamo due opere teatrali – L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges –, due concerti per pianoforte e orchestra, di cui uno scritto per sola mano sinistra perché destinato a P. Wittgenstein, mutilato di guerra.
Paul Dukas (Parigi 1865 – 1935) è un compositore brillantissimo ma poco prolifico. L’esiguità del suo catalogo è direttamente proporzionale al suo feroce spirito di autocritica. Il suo stile si colloca fra l’impressionismo e l’influenza della musica di Franck. Amava da una parte le architetture equilibrate, erette sulla giustapposizione di tonalità (sulla scorta di Beethoven e Wagner, mediati da Franck), e dall’altra le suggestioni debussiane.
Fra gli esiti più significativi vi sono due lavori teatrali: la fiaba lirica in tre atti Arianna e Barbablù, ispirata da un poema di Maeterlinck del 1907, e il poema danzato la Pèri, di gusto orientaleggiante. Da citare, infine, lo scherzo sinfonico L’apprendista stregone, del 1897, di umorismo grottesco e di grande originalità orchestrale.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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