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La musica strumentale in Francia: Berlioz, Paganini, Chopin



Hector Berlioz nasce a La Cote – Saint – Andrè nel 1803, e muore a Parigi nel 1869. Fu un personaggio poco diplomatico, di modi schietti, con una smisurata fiducia in se stesso, trascinato spesso da facili entusiasmi o da avversioni invincibili. Fu più temuto come critico musicale che apprezzato come musicista. La sua figura ha sollevato valutazioni contraddittorie ma senza dubbio è il personaggio che meglio ha rappresentato quanto di più autorevole ci sia nel romanticismo musicale francese. Tra i suoi limiti spiccano un’invenzione melodica non sempre spontaneamente ricca e felice, con singolari cadute nel banale o nell’impacciato durante la composizione. Viceversa vediamo in lui il padre dell’orchestrazione moderna, senza il quale gli sviluppi dell’orchestrazione moderna non sarebbero concepibili: uso di registri nuovi per l’epoca (come il sapiente sfruttamento dei registri estremi degli strumenti) o l’impiego di strumenti rari, come il corno inglese o il clarinetto piccolo. Pubblicò l’importante Grande trattato di strumentazione e orchestrazione moderne, pubblicato nel 1844. La sua prima opera importante fu la Symphonie fantastique del 1830 che già tradisce l’originale ed estrosa indisciplina del maestro: la grandiosa retorica beethoveniana viene privata della rigorosa severità etica trasformandosi nella febbrile descrizione degli infelici amori di Berlioz per l’irlandese Harriet Smithson. È infatti tipico di Berlioz anche l’irruzione autobiografica, a cui amava abbandonarsi.
Oltre all’imprevedibilità delle soluzioni formali, Berlioz si distinse per la novità della minuta trama del tessuto musicale, che tradisce quell’amore per la fisicità del suono che sempre è stato tipico dei musicisti francesi, e che troveremo poi in Ravel e Debussy.
Niccolò Paganini nasce a Genova nel 1782 e muore a Nizza nel 1840. Con la sua straordinaria bravura esecutiva e la sua fama di artista diabolico, impose con violenza la categoria mitica del virtuosismo trascendentale. Fu una categoria che influì non solo sul piano sociologico, trasformando il concerto in un rito spettacolare, ma anche su quello prettamente musicale e linguistico, aprendo la strada a tecniche di sperimentazione strumentali ed espressive inedite, forzando lo strumento oltre quelli che sembravano i limiti imposti intrinsecamente dalle sue
proprietà organologiche, trasformando l’esecuzione in una violenta lotta tra l’estro e la natura. Di lui ricordiamo i 24 Capricci.
Grande protagonista del pianismo romantico fu Fryderik Chopin, polacco di Varsavia, ivi nato nel 1810, e morto a Parigi nel 1849. Fu un grandissimo pianista e un sommo compositore, ma totalmente lontano dall’esecuzione tipica degli atleti della tastiera.
Il fraseggio musicale di Chopin era, in accordo con il suo mondo creativo e poetico, un fraseggio mirabilmente sciolto e leggero, con un tocco straordinariamente sensibile che gli permetteva di eseguire una gamma timbrica sfumatissima, quasi una tavolozza sonora con sottilissime gradazioni di mezze tinte. Si esibiva lontano dall’affollatissimo mondo dell’agonismo pianistico, esclusivamente in salotti frequentati dal fior fiore della cerchia intellettuale parigina. Riparato dai condizionamenti del gusto imperante, si concentrò con esclusività sulla ricerca della sonorità e del linguaggio pianistico, e sui generi prediletti: non concerti e variazioni, ma Polacche, Mazurche, Notturni, Improvvisi, Studi, Preludi, Scherzi e Ballate. Furono tutti generi che il genio di Chopin riplasmò con sofisticatissime soluzioni armoniche che creano una sfumatissima gamma di risonanze e di atmosfere sonore leggiadre.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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