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L'autobiografismo dell'800


I moventi che acquistano un significato speciale negli artisti – antiquari sono invece altri. Categoria che ha monopolizzato la produzione di buona parte della letteratura storica, ai capostipiti Ghiberti e Vasari, succedono i pittori e biografi Carel Van Mander, Giovanni Baglione, Joachim von Sandrart,  e poi Giampietro Zanotti e Luigi Crespi.
In tutti questi personaggi si nota il bisogno di proiettare nella storia degli altri artisti la propria consapevolezza estetica, come si nota anche la spiccata indulgenza verso l'autobiografismo che se a volte si limita a fare capolino più o meno discretamente nell'insieme globale del testo, altre finisce per condensarsi in una vera e propria autobiografia a sé stante, connessa alle biografie altrui. Pensiamo al caso di Vasari, che nella seconda edizione delle Vite, nel 1568, inserisce la propria biografia, o a Benvenuto Cellini, che nella sua autobiografia - Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze – attribuisce alle proprie vicende e risultati artistici una dimensione paradigmatica e titanica che colpì pure Goethe, che nei primi dell'800 la tradusse in tedesco. Ma sono casi eccezionali. La maggior parte delle autobiografie cinquecentesche (Baccio Bandinelli8, Jacopo Carrucci detto Pontormo) sono opere dal respiro corto, pensati non a fini di pubblicazione bensì di sfogo personale, o talvolta di informativa redatta per richiesta di terzi per fornire a biografi letterati materia da elaborare. A partire dall'Ottocento, in corrispondenza con l'affermazione dell'individualismo romantico, aumentano quantitativamente sia gli scritti autobiografici pubblicati sia quelli inediti (Hayez, Delacroix).

Tratto da STORIA E CRITICA DELL'ARTE di Gherardo Fabretti
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