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Le vite di Giovanni Bellori

Le vite di Giovanni Bellori 


Ma le biografie non sono solo strumenti di trasmissione letteraria di informazioni storiche. Sono anche mezzi paradigmatici per l'illustrazione, in positivo e in negativo, di un'estetica incarnata da questo o da quell'artista. Succede per la figura di Michelangelo nella prima edizione del Vasari, e per Raffaello nella seconda; per Nicolas Poussin visto da Bellori, e per il Ludovico Carracci e il Guido Reni di Malvasia. A volte il credo estetico promosso dai critici viene rinforzato da passioni campanilistiche (Malvasia) che degenerano a volte fino al punto di rimpinguare scarne liste di artisti locali parlando delle glorie eterogenee di capitani di ventura o di inventori, come fa ad esempio Leone Pascoli nel suo Vite dei pittori perugini.

Giovanni Bellori

Avulse da passioni campanilistiche sono le opere di Giovanni Bellori – Vite de' pittori, scultori et architetti moderni (1672) – e, anche se con minor successo, di Filippo Baldinucci – Notizie de' Professori del disegno da Cimabue in qua. Sono due opere di grande importanza nelle quali si contrappongono esemplarmente due fondamentali tendenze storiografiche secentesche.
Bellori concentra la sua opera sull'obiettivo della superiorità dell'ideale classico contro gli “eccessi” del manierismo, del naturalismo e del barocco, mentre Baldinucci inclina verso una tendenziale equanimità estetica, precorritrice dell'obiettività positivistica e corrispettivo delle esigenze di un collezionismo storico – documentario come era quello del Principe (poi cardinale) Leopoldo de' Medici. Vediamo come il Bellori, con la sua scelta estetica a favore di Domenichino e di Poussin, preclude la comprensione di Caravaggio e di Rubens, mentre Baldinucci allarga il proprio interesse anche al Bernini, anche a pittori nordici “difficili”, come Duhrer e Rembrandt. Alle Vite di Bellori, redatte con lo spirito di una crestomazia tanto ideale quanto tendenziosa e normativa, si contrappongono le Notizie di Baldinucci, raccolte diligentemente da ogni angolo di Europa, limitando la propria partigianeria alle zone umbratili delle origini della pittura medievale.

Tratto da STORIA E CRITICA DELL'ARTE di Gherardo Fabretti
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