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Movimenti migratori e investimenti internazionali



Oltre allo scambio di merci, nel 19° secolo si verificò un considerevole aumento del movimento internazionali di uomini e capitali, cioè gli altri fattori di produzione oltre alla terra.
Questo comportò il fenomeno della migrazione, e la più significativa fu quella transoceanica, dove 60 mln di persone abbandonarono il continente per mete oltreoceano. La gente cercò di spostarsi verso paesi ricchi di terre (solo gli US ne accolsero 35 mln e la GB 10 mln di persone). All’inizio del 20° secolo si assistì ad una emigrazione dall’Italia e dall’Europa orientale. Gran parte degli italiani si spostarono verso gli US.
Alcuni emigranti fecero ritorno nel paese d’origine, ma molti rimasero in quello di adozione.
Questo fenomeno migratorio ebbe effetti benefici: alleggerì le pressioni demografiche nei paesi di provenienza degli emigranti, allentando il ribasso dei salari reali, e fornì lavoratori ai paesi ricchi di risorse ma poveri di manodopera.
I lavoratori ottennero anche salari maggiori a quelli che potevano ottenere nei paesi d’origine.
L’esportazione di capitali, cioè l’investimento estero, rafforzò l’integrazione dell’economia internazionale. Cioè le risorse per essere investite all’estero derivarono dal sensazionale aumento della ricchezza e del reddito provocato dall’applicazione delle nuove tecnologie, ma a differenza dell’investimento in patria, quello estero richiede risorse speciali generate dal commercio e dai pagamenti esteri. La principale motivazione dell’investimento estero è l’aspettativa da parte dell’investitore di un saggio di profitto più elevato che in patria. I migliori investitori esteri furono gli inglesi, nonostante avessero una bilancia commerciale sfavorevole.

Tratto da STORIA ECONOMICA di Marco D'Andrea
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