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I rapporti all'interno della parentela degli ebrei siciliani


La famiglia ebraica siciliana presenta una configurazione particolare, aperta al divorzio, in contrasto con l'ambiente cristiano circostante, più tollerante invece verso forme di concubinato. L'unico punto in cui le due società hanno un atteggiamento comune è nei confronti delle seconde nozze. La loro frequenza conferma chiaramente che lo stato vedovile non è apprezzato né dagli uomini né dalle donne, sia per gli ebrei sia per i cristiani.
Le particolarità della legge familiare ebraica non sembrano avere suscitato alcuna opposizione da parte delle autorità cristiane. Il ripudio (get) e il divorzio, decisi da giudice, sono pienamente riconosciuti dalla Chiesa. Il levirato e la bigamia sono criticati solo dai rabbini ma poi ampiamente comuni tra la popolazione.
Non sappiamo quale situazione familiare si nascondesse dietro tutto ciò ma i rabbini sono unanimi nello schierarsi contro l'antica e devota pratica, e il governo fa applicare le decisioni degli esperti nella legge mosaica. L'armonia familiare rimane un ideale morale comunque, in contrasto con le violenze concrete della realtà, come lo spintone di un ebreo maltese alla suocera e il successivo pestaggio della moglie. Sono rare le mogli che erogano qualche bene al marito e ancora più rare quelle che ricordano nel testamento la famiglia del marito. In genere l'unità familiare è sulla carta, e ci sono noti episodi di concubinato e adulterio.
La composizione complessa dei patrimoni (apporto femminile, beni propri della ketubbah) e la relativa fragilità della coppia spiegano la presenza della moglie e dei figli in caso di transazioni come la vendita o l'enfiteusi e l'impegno dei genitori in nome dei figli minorenni. La donna teoricamente ha la piena disponibilità del proprio patrimonio e opera separatamente dal marito, legando i suoi beni, disponendo della ketubbah, vendendo le sua case, prendendo enfiteusi, combinando transazioni. Le donne autonome fanno acquisti o prestiti, esercitano commerci, a volte professioni. Possono anche minacciare l'impresa maritale in crisi esigendo la loro dote e il dotario, facendo crollare l'equilibrio economico già incerto. La donna è inoltre la legale tutrice degli orfani, come per i cristiani.
Rimane comunque una figura in bilico tra assoggettamento ed emancipazione e l'autorità maschile è pesante e si estende naturalmente anche alla gestione della ketubbah. L'educazione familiare si svolge fino ad una età compresa tra i 12 e i 14 anni, almeno nelle famiglie la cui vita è sostentata da attività artigianale. In quell'età i ragazzi possono lasciare il padre per entrare in apprendistato, passando sotto la ferula del maestro per un periodo che andava da uno a quattro anni. Questa età è anche quella in cui i figli partecipano col padre alla stipula di atti notarili.
La prima maggiore età è fissata a 14 anni ma se il giovane non è più sotto la patria potestà, raggiunge la pienezza dei diritti a 18 anni. I beni ereditari erano riscattabili già dai 16 anni. L'intensità delle relazioni personali si misura già dagli atti testamentari con la distribuzione degli abiti da lutto e dei vestiti appartenuti al defunto: sono le donne a pensare alle sorelle e ai fratelli e ai nipoti ma se il defunto è donna i vestiti si distribuiscono solo tra donne, prima le sorelle e le figlie, poi le nipoti e poi la suocera.
Il legame tra fratello e sorella è forte ma la solidarietà femminile si consuma solo nell'ambito della casa. La socialità femminile è differenziata: il legame maggiore è quello con la sorella, poi con le nipoti in linea femminile, figli e figlie della figlia sposata o della sorella e poi la nonna materna. Raramente la nuora riceve segni di affezione.
Anche gli uomini distribuiscono i vestiti ma i primi non sono i fratelli, le sorelle e i figli maschi che devono invece portare il lutto ad un grado più ampio, con il legato all'abito nero. La scelta del tutore dei figli minori è significativa. Nelle rare occasioni in cui la donna non vedova possa designarlo, si preferisce la sorella o il figlio maggiore.
Gli uomini sembrano più cauti. La vedova fin quando non è risposata condividerà la tutela del figlio minorenne col figlio maggiore. Poca fiducia dunque nella vedova, specialmente per il timore della fuga del patrimonio in seguito ad un secondo matrimonio.

Tratto da STORIA MEDIEVALE di Gherardo Fabretti
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