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Ordini, ceti, classi. La stratificazione sociale nell’Europa d’antico regime


Fino alla diffusione delle idee illuministiche la visione della società dominante in Europa, era una visione corporativa e gerarchica. L’individuo non contava per sé, ma contava in quanto membro di una famiglia, di un corpo, di una comunità. A questi corpi e comunità facevano riferimento le “libertà”, cioè le franchigie, le immunità, i privilegi che componevano un universo giuridico frastagliato e multiforme.
Eredità dell’epoca medievale era la distinzione della società in tre grandi ordini:
gli oratores, coloro che pregavano, e quindi il clero,
i bellatores, coloro che combattevano, e quindi i nobili,
i laboratores, coloro che lavoravano per tutti.
Naturalmente agli osservatori era ben chiaro che la stratificazione sociale fosse più complessa di quanto è riassunto in questo semplice schema. In particolare era ben chiaro che all’interno del terzo stato vi erano molteplici divisioni e suddivisioni. Per distinguere questi gruppi il termine più appropriato è quello di “ceto”: a determinare, infatti il rango sociale di un individuo concorrevano diversi fattori quali la nascita, il ruolo ricoperto nella vita pubblica e il prestigio e i privilegi a questo connessi.
I ceti si disponevano in una scala gerarchica ben ordinata, CHARLES LOYSEAU , giurista francese, scrisse il Trattato degli ordini e delle dignità semplici in cui giustifica le disuguaglianze  con l’idea di una gerarchia naturale tra tutte le creature che è volta dalla Provvidenza divina, è “una grande catena degli esseri”. E come nel creato ci sono diversi gradi di perfezionamento  anche nella società devono esistere diversi lovelli di bontà e di virtù.
La cosa fondamentale era che questi ceti si disponessero in una scala gerarchica ben definita dalla base al vertice della società.


Tratto da STORIA MODERNA - 1492-1948 di Selma Aslaoui
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