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La Prussia e l'Austria nel 1700


In Prussia il genio di Federico II Hohenzollern è indiscutibile. Regnando per 46 anni, dal 1740 al 1786, ha lasciato più di cento volumi scritti in un francese degno di Humboldt. Un successo quello di Federico aiutato anche dal Brandeburgo, alla Prussia indissolubilmente legato. Bluche fa notare come lo Stato Prussiano non sia una creazione dei Lumi ma una continuazione di un processo già innescato dai tecnicismi del calvinismo occidentale. Lo stato prussiano si modellizza sul quello francese ma se ne differenzia per due ragioni, due arcaismi: la condizione dei contadini, che non si sono ancora emancipati, e quella della nobiltà, attiva e legata alla terra, confusa grosso modo con l'élite.
L'Austria usciva ingrandita ma appesantita e disunita dal trattato di Utrecht del 1713, nato in seguito alla conclusione della guerra per la successione al trono spagnolo. Essa è uno stato in partenza privo di mezzi, ma che poi vede crescere le sue risorse: se all'inizio del regno di Maria Teresa le risorse austriache, a parità di popolazione con la Francia, sono pari al 20 %, con Giuseppe II il ritmo cambia, intendendo superare l'area delle riforme delimitata dai ministri della madre Maria Teresa. Il suo giuseppinismo, così diverso e maggiormente radicale della tolleranza pragmatica di Federico II, è il tentativo di pacificazione religiosa che più si è spinto lontano in nome di quell'integralismo della politica laica tanto cercato. Tutto così cambia nella Chiesa: confini diocesani, collazione dei benefici, formazione dei chierici, riduzione del clero regolare.

Tratto da STORIA MODERNA di Gherardo Fabretti
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