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Marcel Proust e la teoria sul lettore


La resistenza del lettore Marcel Proust fu una voce assolutamente opposta rispetto a quelle sentite fino ad ora. Lanson riassumeva la sua tesi così: Secondo lui non ci si aspetta un libro, ma sempre una mente che reagisce al libro e vi si mescola, la nostra, o quella di un altro lettore.
Secondo Proust, dunque, non esiste un accesso immediato, puro, al libro. Questo punto di vista lo scrittore francese lo espose nel 1907 nel suo Giornate di lettura, una prefazione alla traduzione di Sesame and Lilies di Ruskin, e poi nel Tempo Ritrovato. Quello che ci ricordiamo di un libro, ciò che ha segnato le nostre letture di infanzia, non è tanto il libro in sé, quanto il contesto in cui l'abbiamo letto, le impressioni che ne hanno accompagnato la lettura. La lettura è un procedimento empatico, proiettivo, identificatorio, che bistratta necessariamente il libro piegandolo alle esigenze proprie di ogni lettore.
Proust dirà nel Tempo Ritrovato che il lettore applica ciò che legge alla propria situazione, ad esempio ai propri amori, e per questo non deve stupire, o peggio offendere, se ad esempio “l'invertito dà alle sue eroine un volto maschile”. Se l'abate Prévost non descrive Manon Lescaut se non con gli attributi di “affascinante” e “amabile”, contentandosi di attribuirle “l'aspetto dello stesso Amore” è perchè l'ecclesiastico la sapeva lunga, e rimase volontariamente sul vago affinché ciascun lettore potesse darle i tratti che reputava ideali. Scrittore e libro, continua Proust, controllano pochissimo il lettore. Il linguaggio delle dediche e dei ringraziamenti è insincero. Ha voglia l'autore di appellarsi al “mio lettore”; in realtà il lettore, quando legge, è solo lettore di se stesso. L'opera è solo una sorta di strumento ottico che esso offre al lettore per permettergli di scorgere ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso.
Quindi? Quindi il lettore è maggiorenne, libero e indipendente. Il suo scopo non è quello di comprendere il libro, quanto di comprendere se stesso tramite di esso. D'altra parte egli comprenderà il libro solo se comprenderà se stesso da quella lettura.
Era una lettura arguta e scioccante, che spaventò il formalista storico Lanson, che contava sulla statistica per correggere il proclama di soggettivismo estremo di Proust. Lanson, in altre parole, sperava di censire tutte le impressioni soggettive di una lettura per cercarvi un elemento di interpretazione permanente e comune, magari spiegabile con una proprietà reale dell'opera. Contemporaneamente però, lo abbiamo visto, le indagini di Richards demolivano l'affidabilità dei propositi di Lanson. La statistica non era dunque in grado di rifondare un oggettivismo letterario.
La posizione di Proust ha acquisito sempre più peso: scrittura e lettura finiscono con l'identificarsi, poiché la lettura sarà una scrittura, e la scrittura è già una lettura. Perchè? Come dice nel Tempo Ritrovato, la scrittura è la traduzione di un libro interiore, mentre la lettura è la traduzione in un altro libro interiore. “Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli di un traduttore”, così concludeva Proust. In termini saussuriani: se il testo si presenta come una parole in relazione ai codici e alle convenzioni della letteratura, esso si offre anche alla lettura come una langue alla quale essa assocerà la sua propria parole. Attraverso la mediazione del libro, contemporaneamente parole e langue, due coscienze comunicano tra loro.
A favore del lettore non c'è solo Proust. L'ermeneutica fenomenologica è una scuola critica che ha favorito il ritorno del lettore sulla scena letteraria, mettendo qualunque senso in relazione con una coscienza.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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