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Teorie sulla mimesis

La teoria letteraria ha avuto gioco facile sulla mimesis perchè aveva una concezione della referenza linguistica semplificata e manichea: o l'allucinazione o niente. Ora però sono a disposizione teorie più sottili in merito al problema della referenza. La mimesis sfrutta le proprietà referenziali del linguaggio corrente, legate in particolare agli indizi, ai deittici e ai nomi propri. Il problema è che la condizione logica (nel senso di pragmatica) della possibilità della referenza, è l'esistenza di qualcosa sul cui conto saranno possibili proposizioni vere o false. Vogliamo cioè dire che perchè ci sia referenza a qualcosa, bisogna che esista; la referenza presuppone l'esistenza; qualcosa deve esistere perchè il linguaggio vi possa fare riferimento.
In letteratura le espressioni referenziali propriamente dette sono molto poche. Prendiamo come esempio Papà Goriot di Balzac. Parigi e la rue Neuve – Sainte – Genevieve hanno referenti nel mondo reale, ma non ne hanno Mme Vaquer e papà Goriot. A dispetto di ciò, Balzac dice sin dall'inizio del libro che questo dramma non è né una invenzione né un romanzo. E nessuno fa una piega! Come spiegare tutto ciò?
Abbiamo dettto che se non viene soddisfatta la presupposizione di esistenza, il linguaggio della finzione non è referenziale. Allora la domanda è: quali sono i referenti di un mondo di finzione? Del problema se ne sono occupati gli studiosi di logica.
John Austin, in Come fare le cose con le parole (1975) separava la letteratura dagli atti linguistici: perchè vi fosse un atto linguistico le parole devono essere dette davvero.
John Searle descrisse l'enunciato fittizio come una asserzione finta, finta perché non risponde alle condizioni pragmatiche (sincerità, impegno, capacità di provare ciò che si dice) proprie dell'asserzione autentica.
Nella finzione ci sono gli stessi atti lingustici del mondo reale, ad esempio si pongono domande, si impartiscono ordini, si fanno promesse. Ma sono comunque atti fittizi, concepiti e combinati dall'autore per compiere un unico atto linguistico reale: la poesia. Succede che la letteratura sfrutta le proprietà referenziali della lingua; i suoi sono atti linguistici fittizi che una volta entrati nella letteratura e installativisi funzionano esattamente come gli atti linguistici reali al di fuori della letteratura.
Siamo d'accordo. Rimane però il problema che l'uso fittivo del linguaggio deroga all'assioma di esistenza dei logici: si può fare riferimento solo a ciò che esiste.
Del problema se ne è occupata la filosofia analitica, che ha aperto il problema nel quadro della semantica dei mondi possibili e dei mondi di invenzioe, che dei mondi possibili sono una variante.
Thomas Pavel, nel suo libro Mondi di invenzione, passa in rassegna i lavori dei filosofi sui mondi possibili. Gli avvenimenti di un romanzo hanno una sorta di realtà che è loro propria, una realtà che ha qualcosa in comune con quella dei mondi reali. I filosofi, tradizionalmente, pensavano che gli esseri di finzione non avessero stato ontologico, e che tutte le proposizioni che li riguardavano non fossero né vere né false; solo mal formulate e non appropriate.
Pavel e la filosofia analitica non sono d'accordo, e dicono che, ad esempio, perchè la frase papà Goriot si trovava alle 8:30 in rue Dauphine sia reale, è sufficiente che essa, appartenente ad uno dei mondi possibili, sia compatibile con il mondo reale. Lo diceva già Aristotele che l'opera del poeta non consiste nel riferire gli eventi reali, ma solo fatti che possono avvenire e fatti che sono possibili, nell'ambito del verosimile o del necessario.
Stringendo, vogliamo dire che la referenza funziona nei mondi di invenzione finché essi restano compossibili con il mondo reale. Papà Goriot che aspetta alle 8:30 in rue Dauphine è compossibile; papà Goriot che disegna cerchi a forma di quadrati no.
La letteratura mescola continuamente mondo reale e mondo possibile, e il personaggio di finzione è un individuo che sarebbe potuto esistere in un altro stato di cose. I testi fittizi usano gli stessi meccanismi referenziali degli usi non fittivi del linguaggio, per fare riferimento a mondi di invenzione che considerano mondi possibili. I lettori sono collocati all'interno del mondo di invenzione e, finché dura il gioco, lo considerano vero. Il gioco finisce se il protagonista disegna cerchi a forma di quadrati; se rompe cioè il vincolo della lettura, la famosa sospensione volontaria dell'incredulità.


Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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