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3 punti deboli dell’equilibrio di potenza

Il fallimento nel raggiungere gli obiettivi dell’equilibrio di potenza con mezzi altri dalla guerra, reale o potenziale, sottolinea 3 punti deboli dell’equilibrio di potenza come principio guida della politica internazionale: 
1. INCERTEZZA: l’equilibrio di potenza, concepito “meccanicamente”, richiede un preciso criterio quantitativo riconoscibile, con cui il potere relativo delle nazioni possa essere misurato e comparato. La teoria e la pratica dell’equilibrio di potenza ha individuato tale criterio nell’aggregazione di 
- territorio 
- popolazione 
- armamenti: le politiche di compensazione e di controllo degli armamenti sono in effetti esempio, nel corso della storia, dell’applicazione pratica di questo criterio. 
MA la potenza di una nazione sta davvero nell’estensione del suo territorio? 
In realtà, è il carattere nazionale, soprattutto nella condotta della politica estera, la componente principale (ma anche la più elusiva) del potere nazionale. Inoltre, la qualità di tale elemento è soggetto a incessanti cambiamenti, impercettibili nell’immediato ⇒ il calcolo razionale della forza relativa degli Stati diventa più che altro una serie di ipotesi che verranno verificate solo in seguito. 
Questa incertezza diventa ancora più evidente nel momento in cui gli schieramenti contrapposti consistono in alleanze di più Stati ⇒ diventa necessario computare la potenza militare di ciascuno Stato di entrambi gli schieramenti. 
2. IRREALTÀ: proprio l’incertezza dei calcoli di potere rende l’equilibrio di potenza non solo privo di un’applicazione pratica, ma si parla addirittura della sua negazione nella pratica: dal momento che nessuno Stato può avere calcoli sicuri circa la distribuzione della potenza, deve essere almeno sicuro, qualunque errore commetta, di non ritrovarsi in una posizione svantaggiata ⇒ per questo motivo, tutti gli Stati sono coinvolti in una lotta per il potere che miri non all’equilibrio, ma alla superiorità di potere a proprio vantaggio. E, dal momento che nessuno Stato può prevedere il margine di errore dei propri calcoli, ciascuno cercherà di conquistare il massimo del potere possibile. 
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L’illimitata ricerca della potenza implica scarsi incentivi perché l’equilibrio di potenza si attui nella pratica. Anzi, è proprio la guerra preventiva a sminuire le potenzialità dell’equilibrio di potenza. 
3. INADEGUATEZZA: la fiducia nella stabilità del sistema moderno degli Stati deriva non dall’equilibrio di potenza, ma da una serie di elementi, intellettuali e morali, che stanno alla base dello stesso equilibrio di potenza. Ad esempio, Gibbon sottolinea l’importanza delle basi intellettuali e morali della civiltà occidentale. Dal 1648, infatti, l’equilibrio di potenza si è affermato non solo come tecnica, ma anche come espressione metaforica e simbolica = prima ancora di riconoscere gli effetti pratici del meccanismo dell’equilibrio, infatti, gli Stati dovevano accettare l’equilibrio di potenza come il framework del sistema ⇒ qualunque fosse stato l’esito di ogni contesa, alla fine i 2 piatti della bilancia sarebbero comunque tornati in equilibrio. 
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Se le motivazioni sottostanti alla lotta per la potenza e i meccanismi attraverso i quali essa opera fossero tutto ciò che bisogna conoscere della politica internazionale, lo scenario internazionale assomiglierebbe veramente allo stato di natura descritto da Hobbes: in un mondo simile, la forza detterebbe legge. 
In realtà, tuttavia, coloro che perseguono il potere fanno uso delle ideologie per nascondere i loro fini ⇒ ciò che è in realtà l’aspirazione al potere appare come qualcosa di diverso, qualcosa che è in armonia con le esigenze della ragione, della morale e della giustizia. 

3 tipi di norme o di regole di condotta operano in tutte le società evolute: l’etica, i costumi e il diritto. Ciascuna regola ha 2 elementi: il comando e la sanzione. 
Ad esempio, “non uccidere” è un comandamento etico, di costume o legale a seconda di quale sia, in caso di violazione, la sanzione applicata al trasgressore e prevenire ulteriori infrazioni: 
− se A uccide B e in seguito la coscienza gli rimorde, siamo in presenza di una sanzione peculiare all’etica e, quindi, di una norma etica; 
− se A uccide B e una società disorganizzata reagisce spontaneamente con dimostrazioni di disapprovazione, abbiamo a che fare con una sanzione peculiare al costume e, quindi, con una norma di costume; 
− se A uccide B e una società organizzata reagisce sotto forma di una procedura razionale con un’azione predeterminata di polizia, la sanzione è di natura legale e la norma, quindi, appartiene alla categoria della legge. 

Tanto più importanti sono per la società gli interessi e i valori che cerca di salvaguardare attraverso le regole di condotta, tanto più pesanti saranno le sanzioni previste per le infrazioni. 
Ciò che noi chiamiamo “civiltà”, in un certo senso, non è altro che la somma delle reazioni automatiche dei membri della società alle regole di condotta attraverso le quali questa cerca di uniformare i suoi membri rispetto a certi limiti oggettivi, di limitare le loro aspirazioni al potere, e di ammansirli e placarli in tutti i contesti socialmente importanti. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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