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La NATO e la teoria realista

La NATO e la teoria realista 

I membri della NATO - MEMBRI FONDATORI - Trattato di Washington (1949) 
1. Belgio 
2. Canada 
3. Danimarca 
4. Francia 
5. Islanda 
6. Italia 
7. Lussemburgo 
8. Olanda 
9. Norvegia 
10. Portogallo 
11. Regno Unito 
12. Stati Uniti 

1952 
13. Grecia 
14. Turchia

1955  
15. Germania 

1982 
16. Spagna 

2004 
20. Bulgaria 
21. Estonia 
22. Lettonia 
23. Lituania 
24. Romania 
25. Slovacchia 
26. Slovenia 

Volendo applicare l’analisi delle alleanze ad un caso più recente e vicino a noi, M. Cesa analizza la NATO, ipotizzando che essa, dopo la fine della Guerra Fredda, da alleanza di garanzia si sia trasformata sempre più in alleanza di egemonia, dato che si sono alterate le 2 componenti principali: 
− l’asimmetria si accentuata ancora di più, 
− l’alleanza da omogenea è diventata eterogenea. 

Se dunque, durante la Guerra Fredda, la NATO poteva essere classificata come alleanza di garanzia, il paragone con l’alleanza anglo-olandese del ‘700 è pressoché immediato. 
In questo tipo di alleanza, il garante svolge le seguenti funzioni principali: 
− definisce chi è il nemico 
− ha il monopolio del comando militare integrato, della strategia e della diplomazia 
− insiste perché l’alleato minore si rafforzi 
− interferisce anche nella politica interna dell’alleato minore. 

Gli alleati, invece, 
− seguono il garante su ogni cosa che riguardi la causa comune (⇒ NON il Vietnam), elemento tipico di ogni alleanza omogenea 
− contrattano continuamente sui costi (problema del burden-sharing): questo problema viene analizzato formalmente per la prima volta da M. Olson jr. e R. Zeckhauser nel saggio An economic theory of alliances. La domanda a cui i 2 autori cercano di rispondere è la seguente: 
Perché alcuni paesi contribuiscono di più all’organizzazione rispetto ad altri? 

Considerando che i membri europei della NATO sono meno capaci di difendersi rispetto agli Stati Uniti, sembrerebbe logico aspettarsi che il loro contributo all’Alleanza sia maggiore rispetto a quello americano. In realtà, è vero il contrario: essi contribuiscono meno di quanto non facciano gli Stati Uniti. 
L’analisi di Olson e Zeckhauser parte delineando quelle che dovrebbero essere le principali funzioni di un’organizzazione internazionale: quella principale è preservare l’interesse comune degli Stati membri: nel caso della NATO, l’interesse comune = proteggere i membri dall’aggressione di nemici comuni. Nel linguaggio economico, la difesa comune rientra nella categoria dei cosiddetti “beni pubblici”, definiti tali in quanto 
− non escludibili = una volta raggiunto l’obiettivo comune, chiunque condivida quello scopo potrà godere di quel bene; 
− non rivali = se il bene è disponibile per ogni membro, esso può esserlo per tutti gli altri, con un costo marginare minimo o nullo. 

Quando il gruppo interessato al bene pubblico è molto vasto, sarà molto diffusa la tendenza al free-riding ⇒ nessun individuo contribuirà volontariamente alla produzione del bene pubblico. 
Quando invece il gruppo è più ristretto, i membri avranno maggiori incentivi a contribuire volontariamente, ma l’esito (= la quantità di bene prodotto) sarà comunque sub-ottimale. Inoltre, in questa situazione, si verificherà anche la tendenza per cui i membri “più grandi” (= coloro che valutano maggiormente il bene) si addosseranno una proporzione maggiore delle spese per la produzione del bene pubblico. 
Osservando un grafico con curve di reazione di 2 paesi – facilmente generalizzabile per N paesi – la precedente affermazione è facilmente dimostrabile: 


Il punto di intersezione tra le 2 curve di reazione indica quando ciascun membro contribuisce per la produzione del bene dell’alleanza nel punto di equilibrio. 
NB: non sempre le curve di reazione si intersecano. In ogni caso, che si intersechino oppure no, il risultato di equilibrio è comunque determinato e stabile, a meno che la difesa non venga considerata un bene inferiore, nel qual caso ci sarebbero più punti di equilibrio, di cui uno o più sono instabili. 
In equilibrio, le spese per la difesa dei 2 paesi sono tali che il paese “più grande” (= dà maggiore valore al bene dell’alleanza) sopporterà un carico di spese sproporzionato. 
Ciononostante, l’esito finale sarà comunque sub-ottimale finché i membri valuteranno positivamente ogni unità addizionale del bene-difesa. Questa situazione si verifica perché ciascun membro contribuisce finché il tasso marginale di sostituzione del bene eguaglia il costo marginale del bene ⇒ potrebbe essere prodotta la quantità ottimale del bene collettivo solo se la somma dei tassi marginali di sostituzione di tutti i membri eguaglia il costo marginale del bene. 
Nel caso della NATO, è evidente che l’Europa non è mai stata capace di produrre beni collettivi quali la sicurezza, la stabilità, l’unità. Sono stati gli USA ad agire da “grandi organizzatori”, addossandosi una frazione sproporzionata dei costi. In futuro, gli USA probabilmente non vorranno più sostenere simili costi. 
Olson e Zeckhauser osservano però anche che le forze militari di un’alleanza non provvedono solo alla “produzione” del bene comune (= la difesa collettiva), ma garantiscono anche benefici nazionali, non collettivi ⇒ in questo caso, il grado di sub-ottimalità e l’importanza della sproporzionalità decrescono, perché i benefici non-collettivi costituiscono un incentivo a mantenere grandi forze. 
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Di qui, la paradossale conclusione: il declino dell’amicizia, dell’unità e della comunità di interessi tra gli alleati non necessariamente riduce l’efficacia dell’alleanza. 
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Nodo centrale della NATO durante la Guerra Fredda è il nesso protezione-obbedienza. 
La supremazia americana ha caratterizzato l’alleanza sin dalle sue origini, sebbene il Trattato di Washington sancisca (ma solo formalmente) l’uguaglianza di tutti i membri. 
Proprio per via dell’asimmetria che caratterizza l’Alleanza, gli alleati europei non sono mai stati liberi di scegliere la forma da dare all’alleanza stessa. Ciononostante, la NATO come alleanza di garanzia ha comunque portato notevoli vantaggi anche ai membri europei. Infatti: 
− la supremazia americana ha risolto il problema di tutte le coalizioni = la condivisione del comando militare 
− l’alleanza ha sopito gli intenti isolazionisti degli americani. 

Secondo M. Howard, la politica estera americana più costruttiva dopo la Seconda Guerra Mondiale è stata quella che ha cercato di sviluppare al meglio le relazioni degli alleati atlantici: a partire dal programma di aiuto a Grecia e Turchia, passando poi al Piano Marshall, gli USA hanno aiutato l’Europa a riprendersi economicamente dopo 6 anni di guerra totale. Il vero pericolo, infatti, sembrava essere la devastazione morale e materiale dell’Europa occidentale, che rappresentava agli occhi americani un punto vulnerabile all’infiltrazione e alla propaganda comunista. Bisogna sottolineare che all’inizio, sia Canada sia gli Stati Uniti si dichiararono riluttanti ad entrare in un’organizzazione con obblighi militari specifici e la Carta finale della NATO sarebbe stata priva di quel nocciolo militare che oggi conosciamo se non fosse stata l’Unione Sovietica a precipitare le cose nel 1948, prima con il colpo di stato comunista a Praga e poi con il blocco di Berlino. Questi 2 eventi ebbero un impatto tale sugli Alleati atlantici da far loro cambiare idea e a comprendere nella Carta 2 articoli a sfondo militare: 
− art. 5: i firmatari decisero che “un attacco armato contro uno o più membri in Europa o in Nord America sarebbe stato considerato un attacco contro tutti i membri” e che “ogni membro dell’Alleanza doveva assistere la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente tutte quelle misure ritenute necessarie, compreso l’uso della forza, per restaurare e mantenere la sicurezza internazionale”. 
Per quanto vago, questo articolo soddisfò soprattutto la parte europea dell’alleanza, che si sentì sufficientemente rassicurata e protetta. Gli Stati Uniti e il Canada, invece, diedero più rilevanza al secondo articolo in questione: 
− art. 2: i firmatari si impegnavano a “contribuire allo sviluppo di relazioni internazionali pacifiche ed amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni, diffondendo una migliore conoscenza dei principi alla base di tali istituzioni e promuovendo condizioni di stabilità e benessere”. Essi inoltre dovevano “cercare di eliminare i conflitti dalle loro politiche economiche internazionali e di incoraggiare la cooperazione economica tra di loro”. 
Questi 2 articoli sarebbero stati sufficienti a garantire la stabilità e la sicurezza dell’intero sistema se non fosse stato per lo scoppio della Guerra di Corea l’anno successivo, un evento visto da Washington come chiaro segno dell’espansionismo globale sovietico ⇒ l’art. 2 venne eclissato dalla richiesta dell’applicazione dell’art. 5 = la mobilitazione delle forze armate e la creazione di una struttura militare in grado di proteggere l’Europa occidentale contro un nemico che, sul piano militare convenzionale, si era già dimostrato decisamente superiore e che dava segno di sviluppo anche nel campo nucleare. 
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Si giunse alla ri-creazione della Grande Alleanza della Seconda Guerra Mondiale, ma questa volta senza, ovviamente, l’URSS. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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