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"Storie" di Tucidide Libro II : La politica di Pericle

"Storie" di Tucidide Libro II : La politica di Pericle 

Il II Libro delle Storie può essere suddiviso nelle seguenti parti: − capp. 1-17 – Lo scoppio della guerra Scoppia di fatto la guerra. Secondo Tucidide, durante tutta la durate della guerra non ci furono mai periodi di tregua (cap.1, nessuna tregua, da quando si impose e si dichiarò lo stato di guerra) ⇒ neanche la successiva Pace di Nicia è, secondo Tucidide, un periodo di pace, perché permane comunque lo stato di guerra. La guerra scoppia di fatto in seguito all’episodio di Platea: una notte, di nascosto, alcuni soldati tebani penetrano nella città con l’obiettivo di porla sotto assedio. I Plateesi, impauriti dall’apparente alto numero di soldati nemici, sono in un primo momento disposti ad arrendersi. In seguito, però, quando si rendono conto di essere superiori in numero al nemico reagiscono, facendo strage dei soldati tebani. Di fronte a tutto questo, Atene cerca di avvertire i Plateesi di non rompere i patti, dato lo stato di guerra, dimostrando estrema riluttanza ad entrare nel vivo del conflitto (cap.6, ordine di non attuare provvedimenti punitivi contro i cittadini tebani che avevano in possesso. Attendessero le decisioni da Atene). Tuttavia, Atene viene in seguito a sapere della strage dei soldati tebani compiuta dai Plateesi. È la violazione ufficiale dei patti (cap.7). Quando in Grecia si sparge la notizia della guerra tra Sparta ed Atene, ci si accorge ancora di più di quanto Atene fosse odiata, poiché la maggior parte degli Stati si schiera con Sparta, soprattutto in quanto proclamava che avrebbe reso l’indipendenza alla Grecia (cap.8). In particolare, si distinguono 2 gruppi di Stati: − quelli che volevano sciogliersi dal dominio di Atene, e − quelli che temevano di essere in futuro dominati da Atene (cap.8).

− capp. 18-33 – Il primo anno di guerra (431 a.C.) 

Al cap.18 si assiste alla prima invasione dell’Attica, tecnica messa in atto dagli Spartani quasi ogni anno, durante i primi anni della guerra. 
Quando gli Spartani entrano in Attica, Pericle ha delle proprietà nelle campagne e teme che vengano risparmiate dagli Spartani, dato che era legato da vincoli di ospitalità al re spartano Archidamo ⇒ Pericle teme che una simile eventualità venga sfruttata dai suoi nemici politici ad Atene, per metterlo in cattiva luce ⇒ per evitare questo, regala i suoi possedimenti allo Stato (cap.13). 
In più, Pericle dà dei suggerimenti pratici su come bisognerebbe affrontare le invasioni dell’Attica (cap.13): 
− prepararsi alla lotta 
− trasportare tutto dalle campagne dentro le mura 
− non battersi in campo aperto (l’esercito peloponnesiaco è più numeroso ed è guidato dagli Spartani, che sono dei maestri nella guerra terrestre, così come gli Ateniesi lo sono nella guerra navale) 
− fortificarsi in città 
− stare vigili alla difesa 
− allestire ed incrementare la flotta 
− disciplinare con ferma mano le forze alleate 
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Pericle propone un atteggiamento difensivo. 
Archidamo, dal canto suo, dall’invasione dell’Attica spera di provocare gli Ateniesi, in particolare sull’impulsività dei giovani, i quali, secondo i suoi calcoli, non accetteranno di veder distruggere il loro territorio senza reagire ⇒ Archidamo prevede uno scontro campale, nel quale gli Spartani hanno maggiori probabilità di vincere (cap.20). 
In effetti, gli Ateniesi si agitano animatamente di fronte ad una simile provocazione (cap.21). Pericle comprendeva il loro stato di esasperazione (cap.22), ma si preoccupa di mantenere calma la popolazione, cercando di convincerla a non cedere di fronte alla provocazione di Archidamo ⇒ perfezionava i provvedimenti difensivi sulla città, procurando intanto di mantenerla il più possibile quieta (cap.22). 
− capp. 34-46 – L’orazione funebre di Pericle 

Ad Atene era pratica diffusa avere funerali pubblici per i morti in guerra ⇒ da questo punto di vista, questa orazione funebre non sembra avere nulla di straordinario. 
Tuttavia, in questo discorso, Pericle non si limita alla commemorazione dei caduti, ma fa una vera e propria glorificazione di Atene e dei suoi successi. Atene ha creato un modo di vivere ed un’organizzazione dello Stato tali che i diritti individuali e i bisogni della collettività sono in perfetta armonia tra loro. Quello ateniese è un modo di vita unico, nella quale la potenza è la prova evidente dei suoi meriti, il prolungamento di una superiorità spirituale rispetto a tutto il resto della Grecia. 
Il discorso ha evidentemente la funzione di promuovere tra gli Ateniesi un senso di “pieno apprezzamento” di cosa significa essere ateniesi ⇒ unire la cittadinanza in un vincolo di lealtà nei confronti dello Stato. 
Il primo e il terzo dei discorsi di Pericle riportati da Tucidide nelle Storie sono discorsi molto realisti e pragmatici, mentre il secondo (cioè in questa orazione) è maestoso, e in esso Pericle arriva a tracciare le caratteristiche di una società ideale, con lo scopo di glorificare appunto Atene in tutti i suoi successi. Fa inoltre una sorta di “dichiarazione di principi”, che stanno alla base della “cultura occidentali”: è tutta una serie di caratteristiche e meriti, sia sociali sia politici, considerati alla base della civiltà occidentale (basti pensare che nel preambolo della Costituzione dell’Unione Europea compaiono proprio frasi tratte da questo discorso) (cap.37, in cui Pericle descrive l’ordine politico ateniese). 
Generalmente, questo passaggio viene visto come un’esaltazione della democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini. In realtà, questo è un passaggio molto più ambiguo di quanto non sembri a prima vista. Prosegue infatti dicendo che vige anzi per tutti l’assoluta equità di diritti. 
La parola “democrazia” ha in realtà un’accezione negativa. Infatti, etimologicamente deriva dall’unione di 
− démos = popolo 
− kratós = potere. Tuttavia, anche arké = potere. 

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Perché si parla di monarchia, oligarchia e si passa invece a democrazia? 
La parola kratós contiene una dimensione legata alla violenza ⇒ sono i nemici della democrazia che chiamano così il governo popolare, visto come la degenerazione della politéia, la vera forma di governo popolare, in quanto tirannia di una parte, per quanto maggioritaria (il démos, il popolo), sulle altre parti. Non a caso Pericle dice: è chiamata democrazia. Ciononostante, vige per tutti l’assoluta uguaglianza di diritti e la libertà (si spiega così la frase vige anzi per tutti l’assoluta equità di diritti). 
Inoltre, seguiamo le autorità di volta in volta al governo, ma principalmente le leggi e più tra esse quante tutelano le vittime dell’ingiustizia (cap.37); Atene si differenzia dagli altri popoli nei metodi di preparazione alla guerra e nel campo educativo (cap.39). 
La potenza di Atene è il prolungamento di una superiorità non solo materiale, ma anche e soprattutto spirituale (audacia, senso dell’onore), sviluppate all’interno di un sistema politico unico nel suo genere e che fa da esempio per tutta la Grecia. 
Infine, secondo Pericle, il sentimento di libertà ateniese si coniuga perfettamente con l’imperialismo della città, non esiste alcuna contraddizione, perché il dominio di Atene è percepito come forma perfetta della libertà ateniese = è grazie all’impero che si può essere liberi ad Atene. 
Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e tutti sono chiamati a svolgere ciascuno il proprio ruolo pubblico, perché nella Repubblica ateniese si ragiona, si dibatte pubblicamente (cap.40) e sono i cittadini che decidono, all’interno dell’Assemblea. 
Inoltre, nella prima parte del cap.40, troviamo l’ideale di equilibrio classico secondo Pericle ⇒ ogni cosa viene fatta dagli Ateniesi senza eccessi ⇒ possono vantarsi di possedere questo equilibrio ideale, possibile, però, solo all’interno di un sistema politico come quello ateniese descritto da Pericle (sono questi quelli che possono essere considerati come i passi più significativi dell’esaltazione di Atene) ⇒ Atene è, nel suo complesso, una viva scuola per la Grecia (cap.41). 
Segue un altro passo ambiguo, enigmatico, interpretato in vari modi dagli studiosi (cap.41): Abbiamo piegato ogni mare, ogni terra a schiudere i suoi sentieri ai nostri passi impavidi, abbiamo elevato in ogni contrada i monumenti magnifici, perenni, delle nostre disfatte e dei nostri trionfi. 
Nel testo greco originale si trovano queste 3 parole: 
− mneméia = i monumenti 
− kakón = cose cattive 
− te kagathón = cose buone 

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Come è stato interpretato il verso? 
Dal ‘700 circa, si è molto discusso su questo passo, nel quale, a quanto pare, Pericle sta esaltando “monumenti di cose cattive” ⇒ ? 
Qualcuno ha sostenuto che, in seguito alle innumerevoli copiature nel corso dei secoli, la parola kakón sia in realtà un errore di copiatura e che la parola corretta fosse kalón (= cose belle). Ipotesi, tuttavia, non provata, e quindi, poco accettata. 
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Dato che molto probabilmente, Pericle ha davvero parlato di “cose cattive”, gli studiosi si sono domandati quale sia il significato del suo discorso. 
Una delle interpretazioni (scelta anche da Ezio Savino) è che Atene è grande persino nelle sue disfatte, la sua grandezza si osserva anche nelle sconfitte ⇒ le disfatte sono grandi come le vittorie. 
Oggi, la maggior parte degli studiosi, tra cui Nietzsche, sono più propensi ad un’altra interpretazione, in base alla quale Pericle non parla delle sconfitte di Atene, ma delle sconfitte inferte ai nemici, dei momenti di sofferenza inflitti ai nemici (cose cattive), e degli aiuti offerti agli amici (cose buone). 
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Se è così, a prima vista questa affermazione stride con tutto il resto del discorso ⇒ Perché Pericle glorifica persino le azioni più sanguinose commesse dagli Ateniesi? 
Pericle è consapevole che l’Impero ateniese è basato sulla forza ⇒ esaltando i danni e le sofferenze inflitti ai nemici, è in linea con questa consapevolezza generale. Pur esaltando la superiorità spirituale della città, Pericle è consapevole del male e della violenza, che sono parti integranti dell’Impero. 
− capp. 47-55 – La peste ad Atene 

Durante il secondo anno di guerra, scoppia un’epidemia ad Atene. 
Perché Tucidide si dilunga sulla pestilenza? 
Date certe condizioni, persino le regole più basilari di coesione vengono meno. 
L’episodio della peste viene spesso affiancato ad un episodio successivo delle Storie (III Libro), cioè la guerra civile. Questi 2 episodi infatti, rappresentano l’abbandono delle regole in condizioni eccezionali, nelle quali esce la vera essenza della natura umana, in tutti i livelli, da quello individuale a quello sociale. 
Nel caso della peste, si osserva come Tucidide riporti un’analisi politica della situazione, affiancata dalla dettagliata descrizione della malattia. Il nesso che li collega consiste nella similitudine tra il metodo di indagine della medicina e delle Storie. Questo, tra l’altro, rivela l’origine ippocratica del pensiero di Tucidide, il quale trasferisce i segni e i sintomi patologici, prettamente legati alla malattia, ad un ambito più largamente umano: la natura umana è luogo di pressioni fisiche da una parte e psicologiche dall’altra, come in effetti si osserva nelle Storie: gli effetti della peste non sono solo fisici (la morte), ma anche psicologici. 
Il campo di applicazione dei sintomi è il passato, ma soprattutto il presente e il futuro, perché di fronte a certi sintomi, il medico sappia subito riconoscere la malattia, può farne un’ipotesi del decorso, aiutandosi soprattutto con la descrizione dei sintomi passati, traendone insegnamento (Ippocrate). 
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Tucidide racconta la peste, perché sia utile per riconoscerne i sintomi in futuro. 
Per alcuni studiosi, la conoscenza di una malattia del passato è molto rilevante, per altri no, perché il Caso, la Fortuna, gioca sempre un ruolo rilevante e, in secondo luogo, l’uomo è sempre schiavo delle proprie passioni ⇒ una conoscenza razionale è utile solo fino ad un certo punto. In realtà, se si pensa alle parole che Tucidide riserva a Temistocle (I Libro) e a Pericle (II Libro), si nota come egli ritenga che con grandi leader l’uomo è in grado di reagire in modo assennato a queste circostanze eccezionali ⇒ l’uomo ha una componente non solo irrazionale e passionale, ma anche una razionale, in grado di prevedere gli eventi e di prendere le misure adeguate per affrontarli. 
NB: questo non è garanzia di successo, perché spesso succede che i calcoli siano sbagliati. Inoltre, sono pochi gli individui così eccezionali (per Tucidide sono solo Temistocle e Pericle, gli altri hanno tutti una serie di difetti). 
A partire dal cap.49, Tucidide fa una dettagliata descrizione dei sintomi e dei segni fisici della malattia, per concluderli nel cap.50, dove egli esprime un commento personale sul carattere della malattia. 
Segue la descrizione dell’impatto, prima psicologico e poi sociale, che la peste ha sugli Ateniesi: 
− impatto psicologico: Tucidide distingue le reazioni in 3 categorie: 
coloro che si ammalano si disperano, perché sanno che, molto probabilmente, moriranno (cap.51, la disperazione prostrava rapida lo spirito) 
gli amici e i parenti degli ammalati si disperano a loro volta e alcuni si prendono cura degli ammalati, ammalandosi a loro volta, altri, per paura del contagio, si allontanano (cap.51) 
coloro che hanno già avuto la malattia e sono guariti si credono immortali (cap.51, si abbandonavano alla speranza, illusoria e incerta, che anche in futuro nessuna malattia si sarebbe impossessata di loro, strappandoli a questo mondo). 
− impatto sociale: le condizioni estreme comportano il collasso di ogni tipo di ordine e convenzione, religiosa, sociale e normativa ⇒ si diffonde il caos non solo da un punto di vista medico-sanitario, ma anche dal punto di vista sociale, perché non si ha più paura di trasgredire, dato il collasso delle convenzioni (cap.53, l’epidemia travolse in più punti gli argini della legalità; nessun freno di pietà divina o di umana regola; nessuno concepiva il serio timore di arrivar vivo a rendere conto alla giustizia dei propri crimini) ⇒ si nota come il rispetto delle leggi sia solo frutto di un timore e, quando questo timore viene meno, crolla ogni forma di ordine sociale. 

− capp. 55-65 – La politica di Pericle e il suo ultimo discorso 

Tra le vittime della peste ci fu anche Pericle, che muore nel 429 a.C. 
Tuttavia, prima di morire, Pericle fa un terzo discorso nelle Storie, perché gli Ateniesi, di fronte alla seconda invasione dell’Attica e alle sofferenze della peste, si lamentano, (tanto che si propendeva ormai a intavolare trattative di pace con i Peloponnesi, cap.59) e cominciano a criticare Pericle, che ha spinto la città a rifiutare l’ultimatum spartano, provocando lo scoppio della guerra (cap.59, si riteneva Pericle… responsabile di tanti sacrifici, di tanto dolore), tanto che decisero di mandare degli ambasciatori a trattare con Sparta una tregua. Non si sa molto di queste trattative, si sa per certo che fallirono (cap.59, inviarono anche alcuni ambasciatori, ma non si venne a capo di nulla). 
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cap.59, si sentirono allora intrappolati in una situazione priva di sbocchi e incominciarono ad attaccare Pericle. Nel suo terzo ed ultimo discorso, Pericle risponde al malcontento dei suoi concittadini ricordando loro che la guerra era stata inevitabile e necessaria. L’alternativa è la schiavitù (cap.61). Prosegue poi ricordando loro, per la terza volta, la superiorità navale ateniese, che, con buone probabilità, permetterà loro di vincere i loro nemici. 
Infine, Pericle, da sempre molto incline alla glorificazione dell’Impero, usa qui toni molto duri su come Atene mantiene l’Impero e sui veri motivi per cui Atene si ritrova in guerra (cap.63): 
− Vi stia lontano il pensiero di scendere in lotta per un’unica posta: schiavitù o indipendenza. Si tratta in realtà di perdita dell’Impero e di esporvi all’immenso odio che avete sollevato dominando: ancora una volta, Pericle dichiara la sua consapevolezza dell’odio che Atene ha suscitato negli altri Stati greci. 
− Non potete abdicare oggi dal vostro potere, anche se in questa ora critica qualche galantuomo, (ovviamente, in senso ironico) che desidera la vita quieta, va suggerendo una tanto nobile azione. Il vostro impero, di fatto, è una tirannide: certo illegale a conquistarsi, ma rischiosissimo a deporsi: Pericle è consapevole che Atene è circondata di “cose brutte”, perché, di fatto, è una tirannide, ma è impossibile farne a meno: l’Impero è necessario, ed è completamente errato che, distruggendolo, la situazione migliorerà, perché, così facendo, Atene si sottoporrebbe all’immediata rappresaglia di tutti quelli che adesso la odiano. 
− Potenza di cui sfolgorerà perenne la memoria nei secoli futuri, anche se in questo conflitto dovessimo cederne qualche parte (cap.64): la memoria e la gloria di Atene sono un ulteriore motivo per incitare gli Ateniesi a sostenere la necessità della guerra. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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