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Anarchia e gerarchia secondo Waltz

Waltz descrive l’anarchia e la gerarchia come se ogni ordine politico potesse appartenere solo all’una o all’altra. MA molti degli scienziati politici che si occupano di strutture considerano una più ampia e talvolta stupefacente varietà di tipologie, in cui l’anarchia è vista come uno dei capi di un continuum che ha come altro capo la presenza di un governo legittimo. 
Tuttavia, secondo Waltz, aumentare il numero delle categorie avvicinerebbe alla realtà le classificazioni delle società, MA questo comporterebbe il passaggio da una teoria con pretese di un ordine esplicativo ad un sistema meno teorico e con maggiore accuratezza descrittiva. 
Il successo è la prova ultima della validità della politica e il successo è definito come conservazione e rafforzamento dello Stato. 
La realpolitik indica i metodi attraverso cui è condotta la politica estera e ne fornisce il fondamento; le costrizioni strutturali spiegano le ragioni per cui tali metodi sono ripetutamente usati, malgrado la diversità negli individui e negli Stati. La teoria dell’equilibrio pretende di spiegare il risultato prodotto da tali metodi, o piuttosto, questo è ciò che la teoria dovrebbe fare. 
Se vi è una teoria politica che tratta in modo specifico la politica internazionale, questa è, per Waltz, la teoria dell’equilibrio. Malgrado ciò, non è possibile trovare un’affermazione della teoria che sia accettata dalla generalità degli studiosi. 
La maggior parte della confusione a proposito della teoria dell’equilibrio di potenza, e delle critiche su essa, derivano dalla mancata comprensione di alcuni punti: 
− Una teoria dell’equilibrio, formulata correttamente, inizia con degli assunti sugli Stati: gli Stati sono attori unitari che cercano come obiettivo minimo la propria conservazione, e come massimo il dominio universale. Gli Stati, o coloro che agiscono per essi, cercano in modo più o meno razionale di usare i mezzi disponibili per raggiungere i fini propostisi. Questi mezzi rientrano in 2 categorie: 
- sforzi interni = la forza militare 
- sforzi esterni = mosse per rafforzare o allargare le proprie alleanze o per indebolire o restringere quelle contrapposte. 

− Agli assunti della teoria aggiungiamo poi la condizione della sua operatività = che 2 Stati coesistano in un sistema basato sull’auto-difesa, in cui non sia presente alcun agente superiore che possa venire in aiuto degli Stati in difficoltà e che possa negar loro l’uso di qualsiasi strumento che sia giudicato utile per il raggiungimento dei loro scopi. 
Un sistema basato sull’auto-difesa è quello in cui chi non si auto-difende, o lo fa in maniera meno efficace di altri, è destinato a non avere successo, a porsi in condizioni di pericolo, a subire ⇒ il timore di tali conseguenze indesiderabili stimola gli Stati a comportarsi in modi che tendono alla creazione di equilibri. 
NB: la teoria non richiede alcuna presunzione di razionalità o di costanza di volontà da parte di tutti gli attori; la teoria afferma semplicemente che se alcuni ottengono dei buoni risultati, gli altri li imiteranno o saranno destinati a cadere lungo la strada. 

− La teoria dell’equilibrio pretende di spiegare un risultato che può non concordare con le intenzioni di alcuna delle unità le cui azioni congiunte producono quel risultato: trovare e mantenere un equilibrio può essere l’obiettivo di uno o più Stati, ma può anche non esserlo. 
La politica di equilibrio prevale ovunque siano soddisfatte 2 esigenze: 
- che l’ordine sia anarchico 
- che le unità abbiano come scopo primario la propria sopravvivenza. 

− La teoria dell’equilibrio è spesso criticata perché non spiega le politiche particolari degli Stati. Secondo Waltz, è vero, MA una teoria ad un determinato livello di generalità non può risolvere questioni su soggetti a un livello differente di generalità. L’incapacità di comprendere ciò è l’errore su cui si fonda la critica. 
− Un altro errore tipico è quello di confondere una teoria della politica internazionale con una teoria della politica estera. Una teoria della politica estera non dovrebbe predire il contenuto dettagliato della politica, ma dovrebbe condurre ad aspettative differenti sulle tendenze e gli stili delle politiche di diversi paesi. Poiché il livello nazionale ed internazionale sono legati, le teorie di entrambi i tipi, quando sono corrette, sono in grado di spiegare aspetti differenti del comportamento e dei risultati a entrambi i livelli. 

La teoria dell’equilibrio ci induce a prevedere un comportamento degli Stati in grado di produrre degli equilibri. Non sarebbe particolarmente sorprendente derivare una simile aspettativa dalla teoria se la formazione di equilibri costituisse un modello universale di comportamento politico. Ma non lo è: il fatto che gli attori politici tentino di controbilanciarsi reciprocamente o lavorino insieme per una causa comune, dipende dalla struttura del sistema. 
La teoria produce molte aspettative sul comportamento e sui risultati. Attraverso di essa si può predire che gli Stati assumeranno un comportamento equilibratore, sia che l’equilibrio di potenza sia il fine dei loro atti o meno. 
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Dalla teoria si predice una forte tendenza sistemica verso l’equilibrio. Tale aspettativa non parla della conservabilità dell’equilibrio una volta raggiunto, ma porta alla previsione che un equilibrio, una volta spezzato, sarà restaurato in un modo o nell’altro ⇒ gli equilibri si formano continuamente. 
Benché la maggior parte degli studiosi di politica internazionale creda che i sistemi composti da molte grandi potenze siano più instabili, essi respingono l’idea diffusa secondo cui 2 è il migliore dei numeri piccoli. 
Al contrario, Waltz ritiene che i problemi della sicurezza militare in un mondo bipolare o multipolare mostrino chiaramente i vantaggi di avere 2, e solo 2, grandi potenze nel sistema. 
Attraverso quali criteri determiniamo che un sistema politico-internazionale cambia e attraverso quali criteri, invece, affermiamo che è stabile? 
I sistemi anarchici si trasformano solo attraverso dei mutamenti nei principi organizzativi e i conseguenti cambiamenti nel numero delle loro componenti importanti ⇒ dire che un sistema politico-internazionale è stabile, significa 2 cose: 
1. che esso resta anarchico 
2. che nessuna variazione ha luogo nel numero delle parti principali costituenti il sistema 
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La stabilità del sistema, fintanto che esso rimane anarchico, è legata strettamente al destino dei suoi membri principali: vi è uno stretto legame fra i cambiamenti nel numero delle grandi potenze e la trasformazione del sistema. 
Questo legame non è comunque assolutamente obbligatorio. Ad esempio, il sistema multipolare riuscì a resistere 3 secoli perché nel momento in cui alcuni stati tramontavano, altri salivano di rango, attraverso la crescita relativa del loro potenziale. 
La relazione fra la sopravvivenza delle grandi potenze e la stabilità del sistema è indebolita anche dal fatto che non tutti i cambiamenti di numero sono cambiamenti del sistema. 


Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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