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Gli schemi dell’equilibrio di potenza internazionale per Morgenthau

Secondo Morgenthau, la lotta per la potenza sulla scena internazionale si svolge secondo 2 tipici schemi: 
1. schema dell’opposizione diretta: la Stato A può intraprendere una politica imperialistica nei confronti dello Stato B ⇒ lo Stato B può opporre resistenza per mezzo di una politica dello status quo o di una politica imperialistica. 
Esempi: la Francia e i suoi alleati contrapposti alla Russia nel 1812; il Giappone contrapposto alla Cina dal 1931 al 1941. 
In questo schema, l’equilibrio di potenza deriva direttamente dal desiderio di un qualsiasi Stato di vedere prevalere le proprie politiche su quelle degli altri; questo bilanciamento delle forze che si contrappongono continuerà fintantoché gli Stati coinvolti muteranno l’obiettivo delle loro politiche imperialistiche oppure finché uno Stato non consegua, o pensi di aver conseguito, un vantaggio decisivo sull’altro. 
2. schema della competizione: lo Stato A può scegliere di perseguire una politica imperialistica nei confronti dello Stato C ⇒ lo Stato C può resistere o assecondare la politica di A, mentre lo Stato B persegue nei confronti dello Stato C una politica imperialistica oppure una politica di status quo. 
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In questo caso, il predominio su C è un fine della politica di A. 
D’altro canto, B si oppone alla politica di A perché vuole mantenere lo status quo rispetto a C oppure perché vuole egli stesso dominare C. 
Esempi: la competizione tra la Gran Bretagna e la Russia per il dominio sull’Iran. 

In questo schema, l’equilibrio di potenza, finché opera con successo, svolge 2 funzioni: 
1. esso crea una stabilità precaria nelle relazioni tra i vari Stati, stabilità che è sempre in pericolo di essere disturbata ⇒ necessita continuamente di essere ristabilita; 
2. esso assicura la libertà di uno Stato dal dominio dell’altro. 
Schematicamente, funzione dell’equilibrio è di salvaguardare l’indipendenza di C dall’invadenza di A e di B ⇒ l’indipendenza di C è una mera funzione delle relazioni di potenza che esistono tra A e B: 
− se queste relazioni volgono in favore dello Stato imperialista (A), l’indipendenza di C sarebbe in pericolo; 
− se lo Stato che vuole mantenere lo status quo (B) ottenesse un vantaggio decisivo e permanente, la libertà di C sarebbe assicurata nella misura di quel vantaggio; 
− se, infine, lo Stato imperialista (A) dovesse abbandonare la sua politica imperialistica o cambiare definitivamente obiettivo (D invece di C), la libertà di C sarebbe assicurata. 

Il bilanciamento può avvenire 
− attraverso l’alleggerimento del piatto più pesante: questo metodo ha trovato la sua classica manifestazione nella massima divide et impera: ad essa hanno fatto riferimento quegli Stati che hanno cercato di indebolire o di mantenere deboli i loro avversari, dividendoli oppure tenendoli separati. 
Esempi: la politica francese nei confronti della Germania e la politica dell’Unione Sovietica nei confronti del resto dell’Europa. 
− attraverso l’appesantimento di quello più leggero = consiste nell’aumentare la forza dello Stato più debole e può essere attuato attraverso 2 diverse strategie: 
• B può aumentare la sua potenza in modo sufficiente per controbilanciare, se non superare, la potenza di A, e viceversa. Questa politica è esemplificata dalla politica delle compensazioni e dalla corsa agli armamenti (così come dal disarmo); 
oppure 
• B può unire la sua potenza a quella di tutti gli Stati che perseguono politiche identiche nei confronti di A ⇒ A unirà la sua potenza a quella di tutti gli Stati che perseguono politiche identiche nei confronti di B. Questa politica è esemplificata dalla politica delle alleanze. 

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Gli Stati A e B, in competizione tra loro, hanno 3 strategie per mantenere o incrementare le loro posizioni di potenza relative. Essi possono: 
− accrescere la loro potenza, 
− sommare alla loro la potenza di altri Stati, 
− sottrarre la potenza di altri Stati dalla compagine avversaria. 

Quando gli Stati compiono la prima scelta optano per una corsa agli armamenti; quando scelgono invece la seconda o la terza alternativa, perseguono una politica delle alleanze. 
Le alleanze sono una funzione necessaria dell’equilibrio di potenza che opera all’interno di un sistema composto da numerosi Stati ⇒ se uno Stato debba o meno perseguire uno politica delle alleanze non è una questione di principio, ma di convenienza. 
NB: non tutte le identità di interessi, che richiedono politiche e azioni comuni, necessitano di una codificazione legale in un’alleanza. D’altro canto, però, un’alleanza richiede necessariamente interessi comuni perché venga conclusa. 
Gli interessi che gli Stati hanno in comune non sono in genere così precisi e circoscritti riguardo alla regione geografica, all’obiettivo e alle politiche più appropriate ⇒ un’alleanza aggiunge precisione, specialmente sotto forma di limiti, ad una comunanza di interessi, alle politiche generali e alle misure concrete destinate a tutelarli. 
Allo stesso modo, tali interessi non sono così precisi e circoscritti per quanto riguarda il probabile nemico comune. Questo carattere generale del nemico, che non è determinato individualmente, ma in virtù delle funzioni che svolge, richiama alla mente una caratteristica simile della sicurezza collettiva, la quale è diretta contro un aggressore definito in modo astratto, chiunque esso sia. 
Questi interessi comuni, così come le alleanze che li esprimono e le politiche che li attuano, possono essere distinti secondo Morgenthau, in 5 diversi modi, a seconda 
− della loro intrinseca natura e dei loro rapporti ⇒ possiamo distinguere tra alleanze che rispecchiano interessi e politiche identici, complementari e ideologici2; 
− della distribuzione dei benefici e della potenza ⇒ possiamo distinguere tra alleanze mutue e unilaterali; 
− della loro importanza in relazione agli interessi totali degli Stati coinvolti ⇒ possiamo distinguere tra alleanze generali e limitate; 
− della loro ampiezza in termini di tempo ⇒ possiamo distinguere tra alleanze temporanee e permanenti; 
− della loro efficacia in termini di politiche ed azioni comuni ⇒ possiamo distinguere tra alleanze operative e non operative. 
La distribuzione ideale dei benefici all’interno di un’alleanza dovrebbe essere di completa reciprocità. È più probabile avvicinarsi a questo ideale in un’alleanza conclusa tra potenze uguali e che contempli interessi identici. L’altro estremo nella distribuzione dei benefici è invece l’unilateralità. 
Gli interessi complementari si prestano più facilmente a questo tipo di sproporzioni, poiché essi sono sostanzialmente diversi per definizione. Tuttavia, questa correlazione tra benefici, politiche e potenza non è in nessun modo inevitabile: uno Stato debole, ad esempio, potrebbe possedere un bene di così grande valore per il suo più potente alleato da risultare insostituibile. 
Le alleanze in tempo di guerra tendono ad essere generali, poiché comprendono gli interessi globali delle parti contraenti sia in merito alla condotta della guerra sia in merito all’accordo di pace. Dall’altro lato, le alleanze in tempo di pace tendono ad essere limitate ad una frazione degli interessi e degli obiettivi totali dei firmatari. 
Le alleanze generali sono di durata temporanea e più frequenti in tempo di guerra, perché l’interesse supremo comune (vincere la guerra e assicurare attraverso gli accordi di pace gli interessi per i quali la guerra è stata combattuta) è destinato ad essere soppiantato, una volta riportata la vittoria e firmati i trattati di pace, dagli interessi tradizionalmente divisi e spesso incompatibili dei singoli Stati. 
Dall’altro lato, esiste una correlazione tra la permanenza di un’alleanza e il carattere limitato degli interessi che essa persegue, poiché è probabile che solamente un interesse specifico e circoscritto sia sufficientemente duraturo per costituire un solido fondamento per un’alleanza di lunga durata. 
NB: si può notare che, mentre i trattati di alleanza assumono spesso una validità permanente, essi non possono durare più a lungo degli interessi comuni, generalmente precari e mutevoli, che essi intendono servire. 
Infine, il fatto che le alleanze dipendono dalle sottostanti identità di interessi spiega anche la distinzione tra alleanze operative e non operative: perché un’alleanza sia operativa, chi ne fa parte deve accordarsi non solo sugli obiettivi generali, ma anche sulle politiche e le misure da adottare. 
Mentre l’equilibrio di potenza come naturale e inevitabile prodotto della lotta per la potenza è vecchio quanto la storia, le riflessioni teoriche sistematiche, cominciate nel XVI secolo, hanno raggiunto il loro apice nel corso del XVIII e del XIX secolo. Esse hanno generalmente considerato l’equilibrio uno strumento protettivo di un’alleanza di Stati ansiosi di essere indipendenti, contro i disegni di uno Stato mirante al dominio mondiale (quella che allora veniva chiamata “monarchia universale”) ⇒ B, direttamente minacciato da A, si unisce a C, D ed E, potenzialmente minacciati da A, per frustrarne i disegni. 
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La lotta tra un’alleanza di Stati che difendono la loro indipendenza contro un potenziale conquistatore è la più spettacolare delle configurazioni che sorgono dall’equilibrio di potenza. 
Ma la configurazione più frequente è la contrapposizione di 2 alleanze, delle quali una o entrambe perseguono fini imperialistici e che difendono l’indipendenza dei loro membri dalle analoghe aspirazioni dell’altra coalizione. 
Tuttavia, i frequenti cambiamenti negli allineamenti mentre la guerra era ancora in corso, hanno particolarmente attratto gli storici e fatto sì che il XVIII secolo apparisse privo di principi e di considerazioni morali. In realtà, quel periodo fu l’età doro dell’equilibrio di potenza, tanto nella teoria quanto nella pratica. Infatti, in quell’arco temporale i principi europei guardavano all’equilibrio di potenza come al principio supremo che doveva guidare la condotta degli affari esteri. Essi, però, si lasciarono guidare dall’equilibrio di potenza per perseguire i loro interessi ⇒ era inevitabile che essi cambiassero parte quando sembrava loro che l’equilibrio fosse stato alterato e che un riallineamento delle forze si rendesse necessario per restaurarlo. 
Il periodo tra le 2 guerre mondiali può essere collocato sotto il segno dell’equilibrio di potenza per mezzo delle alleanze e delle controalleanze, anche se, in teoria, il principio dell’equilibrio fu soppiantato da quello della sicurezza collettiva della Società delle Nazioni. In realtà, la sicurezza collettiva non abolì l’equilibrio di potenza, dal momento che essa sanciva l’idea che un’alleanza universale sarebbe sempre stata più forte di un qualsiasi potenziale aggressore. 
NB: la sicurezza collettiva si differenzia dall’equilibrio di potenza rispetto al principio di associazione in virtù del quale si forma l’alleanza: 
− le alleanze all’interno dell’equilibrio di potenza sono composte da alcuni Stati contro altri o contro un’alleanza, sulla base di ciò che essi considerano i loro distinti interessi nazionali; 
− il principio organizzativo della sicurezza collettiva è invece il rispetto dell’obbligo morale e legale di considerare un attacco da parte di un qualsiasi Stato nei confronti di un membro dell’alleanza come un attacco verso tutti i membri dell’alleanza stessa ⇒ si suppone che la sicurezza collettiva operi automaticamente. 

Quando l’equilibrio di potenza viene raggiunto attraverso un’alleanza bisogna distinguere 2 possibili varianti. Per usare la metafora della bilancia, il sistema deve consistere in 2 piatti, in ognuno dei quali si trovano lo Stato o gli Stati che condividono la stessa politica dello status quo o imperialista. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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