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Il realismo di Wolfers

A. Wolfers cerca di sottolineare la stretta relazione che esiste tra gli obiettivi della politica estera e l’incidenza delle tensioni che possono portare allo scoppio della violenza. 
Secondo l’autore, non esiste alcuna divisione di opinione tra gli analisti della politica internazionale sul fatto che la politica delle nazioni mira ad una moltitudine di obiettivi. Alcuni esponenti del pensiero realista (come N. Spykman e H.Morgenthau) hanno contribuito a diffondere l’idea del tutto erronea che per i realisti la massimizzazione del potere rappresenta l’unico obiettivo significativo. 
In realtà, come già detto, esiste una molteplicità di obiettivi, che vanno dall’indipendenza nazionale, all’integrità territoriale, alla sopravvivenza nazionale… Lo stesso obiettivo della sopravvivenza nazionale consente una molteplicità di interpretazioni da parte di paesi diversi o di paesi in condizioni diverse. 
Ad esempio, nazioni intenzionate a mantenere il loro coinvolgimento nei conflitti internazionali al più basso livello possibile, tenderanno a considerare la loro sopravvivenza in pericolo solo qualora il loro territorio sia sotto la minaccia di un attacco o sotto un attacco concreto. Al contrario, una nazione occupata in una lotta globale, come ad esempio gli USA, tenderà a considerare qualunque cambiamento dell’equilibrio di potenza a favore dell’avversario una minaccia indiretta alla propria sopravvivenza. 
Wolfers distingue tra: 
− possession goals = obiettivi che riguardano il possesso nazionale ⇒ dirigere la propria politica estera secondo questi obiettivi significa che una nazione punta al miglioramento o alla conservazione di uno o più elementi a cui esso dà più valore. 
− milieu goals = obiettivi che formano l’ambiente in cui la nazione opera ⇒ una nazione che persegue questo tipo di obiettivi mira a forgiare le condizioni oltre i propri confini nazionali. Se non esistessero simili obiettivi, la pace non potrebbe mai diventare un obiettivo della politica nazionale. 

Sebbene per i realisti sia incompatibile con l’essenza della statualità nazionale dirigere i propri sforzi nella creazione di “un mondo migliore per tutti”, tuttavia niente impedisce ad uno Stato-nazione di intraprendere atti di altruismo se è ciò che il suo popolo e i suoi leader vogliono ⇒ un governo che ha assicurato al suo paese un adeguato livello di sicurezza non viola i suoi doveri se estende il suo aiuto a nazioni amiche (si pensi ad esempio il Piano Marshall lanciato dagli USA). 
Un’altra distinzione da fare è quella tra: 
− obiettivi nazionali indiretti = obiettivi che derivano dagli interessi individuali dei cittadini. Ad esempio, erigere barriere tariffarie interessa quei gruppi privati che ottengono un beneficio da una simile protezione, il che può costituire oppure no un vantaggio per l’intera nazione. 
− obiettivi nazionali diretti = obiettivi che derivano dagli interessi dello Stato. 

Nella loro ricerca di potere ed influenza, le nazioni tendono a dividersi in 3 categorie: 
1. nazioni per le quali l’influenza o il potere sono una comodità strettamente limitata da prerequisiti esterni per il loro raggiungimento ⇒ per queste nazioni, il potere e l’influenza sono strumenti con i quali soddisfare almeno i loro più urgenti bisogni nazionali; 
2. nazioni che possiedono una certa riserva di influenza o potere, non immediatamente necessari per raggiungere specifici obiettivi. Ad esempio, una nazione può avere una certa forza militare o un’alleanza nel momento in cui non esiste alcuna minaccia alla propria sicurezza, né alcun desiderio di modificare gli assetti esistenti; 
3. nazioni che sviluppano una certa sete di potere o influenza come un fine in sé ⇒ questa ricerca le spinge a sforzi illimitati e a domande illimitate verso gli altri. 

È assai ragionevole affermare che uno stato preferisca essere “costretto” ad agire in un certo modo con l’influenza piuttosto che con il potere. Ma è altrettanto ragionevole affermare che anche un paese che vuole raggiungere certi obiettivi preferirà farlo attraverso l’uso dell’influenza, piuttosto che del potere. Infatti, l’esercizio del potere coercitivo è costoso e rischioso, generalmente molto di più di quanto non lo sia l’influenza ⇒ è alquanto realistico affermare che un governo raggiungerà i propri obiettivi preferibilmente attraverso la negoziazione piuttosto che con la guerra. 
Sfortunatamente, però, in molte situazioni l’uso del potere coercitivo viene preferito, dal momento che esso appare molto più efficace dell’influenza. 
Esistono però alcune cause di limitazione e di frustrazione collegate all’uso della forza e al potere in sé: 
1. la relatività del potere: poiché il potere di un paese deve essere misurato in relazione al potere del suo avversario, dati assoluti circa la potenza militare di una nazione non servono a niente. Questo era vero per gli strateghi militari nell’epoca pre-nucleare, ma la questione della relatività del potere ritorna anche in epoca nucleare, nel momento in cui ciascun competitore raggiunge la capacità di secondo attacco, è cioè in grado di assorbire un primo attacco e contrattaccare; 
2. il gap tra il potere stimato e la sua reale situazione: questo elemento è , ancora una volta, di particolare importanza in epoca nucleare, nella quale una discrepanza tra la stima del potere delle 2 parti e la reale distribuzione può avere conseguenze serie. Solitamente, l’errore più grave consiste nel sottovalutare la forza relativa dell’avversario. Ma anche una sua sopravalutazione può essere pericolosa, dal momento che può scoraggiare atti o forme di resistenza altamente razionali. 
In ogni caso, più una nazione sopravaluta la forza relativa dell’avversario più sarà “facile” la deterrenza contro di essa. L’errore di valutazione non verrà scoperto se non nel caso in cui la deterrenza fallisca e le capacità reali giungono allo scontro diretto. 
3. la specificità del potere: non tutte le forme di potere possono essere applicate con la stessa percentuale di successo in ogni circostanza ⇒ data la necessità di una grande varietà di mezzi di coercizione e persuasione, una nazione è meglio preparata ad affrontare ogni eventualità futura se fornita di un arsenale completo. Il che, ovviamente, comporta costi di accumulazione e mantenimento. E non esiste una risposta generale alla domanda se sia meglio acquisire un simile arsenale o se invece mantenere i propri obiettivi. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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