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Le intenzioni degli Europei nell'adesione alla Nato

Non molto, a dire il vero: 
− gli inglesi pensavano che il massimo che potessero fare era di assicurare una transizione pacifica verso l’indipendenza dei loro ormai ex possedimenti; 
− i francesi, dopo la paura algerina, decisero di imporre un forte controllo sui territori dell’Union Française. 
E comunque, sia gli inglesi sia i francesi erano alquanto scettici circa le capacità sovietiche di influenzare il corso degli eventi nel Terzo Mondo. 
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In generale, afferma Howard, nel corso della sua vita, la NATO ha dovuto affrontare, nel complesso, 4 tipi di problemi: 
1. deterrenza 
2. distensione 
3. condivisione dei pesi (burden-sharing) 
4. “fuori area”. 
Difficilmente passava un anno senza che almeno uno di questi problemi causasse disaccordi nel Consiglio dell’alleanza. 
Questo è vero, in particolare, per 2 periodi, quando le tensioni arrivarono all’apice, mettendo soprattutto in discussione la credibilità dell’impegno americano. In entrambi i casi sono sorti dei dubbi circa la deterrenza americana e sulla sua effettiva credibilità: 
a. 1958-63: il successo dello Sputnik nel 1957, che diffuse il timore di un superamento tecnologico da parte dell’Unione Sovietica, e la crisi missilistica di Cuba nel 1962, segnarono profondamente gli alleati europei, in particolare, la Francia e la Gran Bretagna, che insistettero sulla necessità di sviluppare un proprio arsenale nucleare. Il timore che anche la Germania potesse seguire il loro esempio spinse gli americani ad istituire una Forza Nucleare Multilaterale, un progetto che fu tuttavia rigettato. In Germania, infatti, si era preoccupati più che altro per la nuova dottrina della “risposta flessibile” adottata da McNamara. Dove esattamente, si pensava, gli Americani sarebbero stati “flessibili”? 
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Questa prima crisi segnò profondamente entrambe le parti dell’Alleanza: gli europei non erano per niente d’accordo con la nuova dottrina di McNamara, mentre gli americani erano esasperati dalla costante richiesta di rassicurazioni da parte degli Europei. 

Queste tensioni si rilassarono nel giro di 15 anni. Ma, in seguito, la credibilità americana venne rimessa in discussione soprattutto da una serie di questioni “fuori area”, prime fra tutte il Vietnam e il Medio Oriente. La tendenza, in queste occasioni, di trattare l’URSS più come un collega che come un avversario, fece crescere negli europei il timore di accordi bilaterali tra le 2 superpotenze, incuranti degli interessi dell’Europa occidentale. La crisi si risolse nel 1974 con la “Dichiarazione Atlantica”, che rassicurava gli alleati del fatto che essi erano tutti dalla stessa parte. 
b. 1979-84: la crisi di questi anni fu ancora più traumatica delle precedenti. Negli anni ’70, infatti, l’URSS sviluppò notevolmente il proprio arsenale nucleare, compresi gli armamenti diretti contro l’Europa occidentale, causando grandi problemi di credibilità negli USA, indignati anche del fatto che i loro alleati europei, invece, non sembravano molto preoccupati della nuova minaccia ⇒ la nuova amministrazione Reagan trattò con durezza gli alleati, causando le loro furie, e con notevole ostilità l’URSS, creando un clima di diffuso allarmismo. 
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Questo nuovo clima di tensione, convinse i governi europei ad accettare l’installazione di missili americani sul loro suolo, per proteggersi dagli SS-20 sovietici; più difficile fu convincere le rispettive opinioni pubbliche: molti vedevano Reagan come una seria minaccia alla pace, soprattutto dopo l’annuncio del suo piano della Strategic Defense Iniziative, che sembrò distruggere ogni speranza in un reale controllo degli armamenti. Ovviamente, gli USA interpretarono questa diffidenza come un segno di plagio sovietico, che aveva posto gli europei in una posizione servile di “finlandizzazione”. 

Tutto cessò improvvisamente: come aveva fatto in precedenza Kennedy, Reagan gestì magistralmente la crisi, non solo avviando un massiccio programma di riarmo, rassicurando i suoi alleati, ma anche continuando il dialogo con la nuova leadership sovietica del 1985, guidata da Mikhail Gorbachev, molto più disponibile al dialogo e alla trattativa. 
Dopo soli 6 anni, la Guerra Fredda finì, la Germania fu riunita, il Patto di Varsavia dissolto e le truppe sovietiche si ritirarono nei loro confini. 
Il Trattato firmato a Parigi nel 1990 non solo pose fine alla Guerra Fredda, ma stabilì una nuova struttura del sistema internazionale. 
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Secondo la definizione data da D. Calleo, la NATO è un apparato piuttosto elaborato attraverso il quale abbiamo scelto di realizzare il protettorato americano in Europa. 
Il termine “protettorato” può essere interpretato in tanti modi; quella più “cinica” è quella che vede il protettorato = impero su invito. 
Oggi, afferma Howard, celebriamo le nozze d’oro di questo matrimonio di successo. MA, non per questo, si è trattato di un matrimonio felice – non a caso, l’articolo di Howard si intitola An unhappy successful marriage. 
Infatti, l’Alleanza nordatlantica è stata costruita, usando l’espressione di Lord Ismay, “to keep the Americans in, the Russian out, and the German down”. Tutti questi obiettivi sono, in effetti, stati raggiunti. Ma non senza difficoltà: per gli europei, gli americani sono sempre stati esageratamente allarmisti, mentre per gli americani gli europei sono sempre stati miopi e meschini. Eppure, si è trovato un certo modus vivendi, che ha permesso al matrimonio di funzionare e di superare ogni difficoltà. 
Ora che lo scopo iniziale è stato raggiunto, si sono moltiplicate le voci che vedrebbero la fine del matrimonio. Eppure, ricorda Howard, i matrimoni non si dissolvono una volta nati i figli. Lo stesso vale, metaforicamente, per la NATO. Oggi, infatti, la NATO continua ad essere l’unico forum in cui le 2 parti possono incontrarsi per discutere i loro problemi politico-militari e cercare di trovare una soluzione congiunta. 
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Oltre alla durata e all’elevato numero dei membri, la peculiarità della NATO è anche il fatto di essere un’alleanza nucleare. 
Nell’articolo NATO and the Dilemmas of a Nuclear Alliance, J. Joffe afferma che ogni alleanza deve cercare un certo equilibrio tra 2 idee inconciliabili: 
− autonomia 
− obbligazione. 

Idealmente, come è ovvio, ciascun membro desidererà totale libertà per se stesso e totale impegno da parte degli altri membri. In quanto entità sovrane, gli Stati non possono fare altrimenti ⇒ le alleanze devono trovare un non facile compromesso tra fedeltà e sacro egoismo, eliminare insomma i timori dell’abbandono e dell’intrappolamento. 
In effetti, tutti gli antichi dilemmi che la NATO ha dovuto affrontare riguardavano la tensione tra interesse e dovere. Tuttavia, nel caso dell’alleanza Atlantica, il dilemma è stato ulteriormente aggravato dalla presenza di altri 2 fattori: 
1. armi nucleari: la novità di questi armamenti è data dalla loro capacità di causare un’inimmaginabile distruzione ad una velocità inimmaginabile. 
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Un’alleanza nucleare si fonda su un assunto molto delicato, dal momento che le armi nucleari eliminano le differenze tra mera sconfitta ed estinzione collettiva. 
2. bipolarismo: durante la Guerra Fredda, l’Europa ha conosciuto il più lungo periodo di pace della sua storia. Il prezzo della pace è stato però la divisione del continente in 2 blocchi antagonisti, organizzati da 2 superpotenze e governati da ideologie e regimi nemici: ad oriente, l’Unione Sovietica ha esteso il suo dominio imperiale; ad occidente, gli Stati Uniti hanno formato l’equivalente volontario dell’impero. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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