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Sistemi bipolari e multipolari

Che i sistemi bipolari e multipolari siano diversi è un fatto ampiamente accettato, ma qual è la differenza che li caratterizza? 
La risposta va trovata nel comportamento richiesto alle parti dei sistemi basati sull’auto-difesa = creare degli equilibri. 
Benché molti studiosi della politica internazionale credano che il gioco della creazione degli equilibri richieda almeno 3 o 4 partecipanti, in realtà, secondo Waltz, anche 2 sono sufficienti: ove vi sono 2 potenze in competizione, gli squilibri possono essere rettificati solo attraverso i loro sforzi interni. 
“Con 2 sole grandi potenze un sistema d’equilibrio è instabile: per il suo corretto funzionamento sono necessarie 4 potenze. Una quinta potenza che funga da “equilibratore” aggiunge ulteriore raffinatezza al sistema”. Questo è il giudizio convenzionale. 
Dobbiamo accettarlo? 
Secondo Waltz, la teoria dell’equilibrio non può incorporare il ruolo di “equilibratore”, perché la possibilità di svolgere questo ruolo dipende da condizioni strettamente determinate e storicamente improbabili. Inoltre, il numero 5 non ha alcuna attrattiva particolare, poiché non c’è alcuna ragione necessaria per credere che la parte dispari sia in grado e abbia l’intenzione di fungere da “equilibratore”. 
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Tali considerazioni ci portano a nutrire dubbi più generali sui tanto lodati vantaggi delle alleanze flessibili. Infatti, perché dovrebbe essere difficile per uno o più Stati passare dal lato degli Stati minacciati, visto che uno degli interessi di ogni singolo Stato è evitare la dominazione da parte degli altri? 
Innanzitutto, i membri di un gruppo che condividono un comune interesse possono anche non agire per cercare di perseguirlo ⇒ l’aspettativa di un destino comune può non portare ad un’equa divisione del lavoro. 
Nella ricerca della sicurezza è necessario formare alleanze che, una volta create, devono essere governate. Le alleanze sono costituite da Stati che hanno solo alcuni interessi in comune, generalmente di tipo negativo (la paura degli altri Stati). Le divergenze emergono quando sono sul tappeto degli interessi positivi ⇒ le strategie delle alleanze sono sempre frutto di compromessi, dato che gli interessi degli alleati e la loro concezione della sicurezza non possono mai essere identici. 
Se i blocchi in competizione sono strettamente in equilibrio e la competizione coinvolge questioni importanti, l’abbandono della propria coalizione rischia di avere come risultato l’auto-distruzione. 
Tradizionalmente, gli studiosi di politica internazionale hanno creduto che l’incertezza risultante dalla flessibilità degli schieramenti generasse una salutare prudenza nella politica estera di ogni attore. Per converso, hanno creduto che un mondo bipolare fosse doppiamente instabile. Secondo Waltz, tale conclusione è basata su un falso ragionamento e dimostrazioni inadeguate. 
In un mondo bipolare, l’interdipendenza militare diminuisce in modo anche più marcato di quella economica. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica dipendono principalmente da se stessi sul piano militare; si controbilanciano a vicenda attraverso mezzi “interni” invece che “esterni”, confidando sulle proprie possibilità invece che su quelle degli alleati ⇒ il bilanciamento interno è più affidabile e preciso di quello esterno. 
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Piuttosto che rendere cauti gli Stati e favorire la possibilità di pace, l’incertezza e gli errori di calcolo causano le guerre. In un mondo bipolare l’incertezza diminuisce e i calcoli sono più facili. In un mondo bipolare, come in uno multipolare, i leader dell’alleanza possono cercare il massimo contributo dei propri associati; ma nel primo caso questi sono soltanto utili, non indispensabili ⇒ le politiche e le strategie dei leader delle alleanze sono elaborate in base ai propri calcoli e interessi. Ha senso trascurare la prospettiva di un alleato solo se la cooperazione militare è realmente poco importante (è questo il caso nel Patto di Varsavia e nella NATO). 
L’interdipendenza militare è bassa in un mondo bipolare e alta in uno multipolare. In quest’ultimo caso le grandi potenze dipendono l’una dall’altra per il supporto politico e militare in caso di crisi e di guerra ⇒ assicurarsi un appoggio costante è vitale. 
Questo non può essere invece il caso in un mondo bipolare, dato che le terze parti non possono spostare gli equilibri di potere ritirandosi da un’alleanza ed entrando a far parte di un’altra ⇒ la strategia del leader può essere flessibile. 
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Nella politica dell’equilibrio di vecchio stile la flessibilità di schieramenti produceva rigidità strategica o limitazioni della libertà di decisione. 
Nella politica dell’equilibrio di nuovo stile è vero il contrario: la rigidità di schieramento in un mondo composto da 2 superpotenze produce flessibilità di strategia e allargamento della libertà decisionale. Infatti, sebbene vengano a volte fatte delle concessioni agli alleati, né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica alterano le proprie strategie o cambiano la propria disposizione militare per favorire gli Stati associati. 

In un sistema multipolare i pericoli sono diffusi, le responsabilità non chiare e la definizione degli interessi vitali facilmente nascoste; quando i nemici possibili sono molti è difficile che venga concordata un’unità di azione fra essi. 
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Interdipendenza delle parti, diffusione dei rischi e confusione delle risposte: queste sono le caratteristiche della politica delle grandi potenze in un mondo multipolare. 
In un mondo bipolare, invece, non ci sono periferie ⇒ con 2 sole potenze capaci di agire ad una scala mondiale, qualsiasi cosa accada in qualsiasi luogo riguarda entrambe ⇒ il bipolarismo aumenta la portata geografica degli interessi di entrambe le potenze, ma poiché gli alleati aggiungono relativamente poco alla potenzialità delle superpotenze esse concentrano la loro attenzione sulle proprie posizioni. 
In un mondo multipolare è spesso poco chiaro chi è minacciato e da chi. In un mondo bipolare, invece, i cambiamenti possono influenzare in modo differente entrambi gli attori ⇒ solo pochi mutamenti nel mondo o all’interno di ciascuna realtà nazionale hanno la possibilità di essere considerati irrilevanti. 
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Auto-dipendenza delle parti, chiarezza dei pericoli, certezza di chi deve affrontarli: queste sono le caratteristiche della politica delle grandi potenze in un mondo bipolare. 
L’errore di calcolo da parte di alcuni o di tutti gli attori è la fonte del pericolo nel mondo multipolare; in quello bipolare, invece, la fonte del pericolo è rappresentata dalla reazione spropositata da parte di una o di entrambe le superpotenze. 
La trattativa fra più di 2 parti è difficile: in queste situazioni, i negoziatori si preoccupano delle questioni sul tappeto, ma anche di come la forza della propria posizione sarà influenzata dalle alleanze che ogni soggetto può fare. Se infine 2 delle molte parti concludono un accordo, esse devono domandarsi se tale accordo potrà essere infranto o neutralizzato dall’atteggiamento degli altri. 

Secondo Waltz, un sistema bipolare ha molte virtù ⇒ questo sistema, come già dimostrato, è dinamicamente stabile. 
Negli affari internazionali la forza rimane l’arbitro finale. Per questa ragione alcuni hanno pensato che acquisendo un armamento nucleare dei paesi terzi potessero ridurre la loro distanza dalle grandi potenze. TUTTAVIA; le armi nucleari non sono lo strumento livellatore che a volte si è pensato che fosse ⇒ le armi nucleari non rendono uguale il potere delle nazioni, perché non trasformano le basi economiche del potere di un paese. Poiché gli armamenti contemporanei si contraddistinguono per essere a ricerca intensiva, le barriere che gli Stati devono superare per far parte del club delle superpotenze si sono innalzate ⇒ incapaci di raggiungere livelli di spesa in qualche modo vicini a quelli russi o americani, le medie potenze che cercano di competere si trovano costantemente a restare indietro. 
Inoltre, in passato le potenze più deboli potevano migliorare la propria posizione attraverso delle alleanze, sommando in tal modo la forza degli eserciti stranieri alla propria. Oggi, tuttavia, gli Stati intermedi non sono più nella condizione di raggiungere con alleanze quello che sono incapaci di fare da soli. E questo perché le forze nucleari non sono sommabili ⇒ come ha sostenuto De Gaulle, le armi nucleari rendono obsolete le alleanze (questo è un motivo per definire la NATO un trattato di garanzia piuttosto che un’alleanza di vecchio tipo). 
NB: dire che diffusione delle armi nucleari lascia intatto il bipolarismo non implica certo indifferenza per la proliferazione. La prospettiva che vi sia un certo numero di Stati in possesso di armi nucleari è allarmante non perché la proliferazione potrebbe cambiare il sistema, ma per quello che le potenze minori poterebbero farsi reciprocamente. In un autorevole articolo del 1958, Albert Wohlstetter metteva in guardia sui pericoli di un “delicato equilibrio del terrore”: questi pericoli possono riguardare i paesi in possesso di una limitata forza nucleare, nel caso in cui un paese fosse tentato di utilizzare tali armi in modo preventivo contro un avversario considerato momentaneamente vulnerabile. 
Ciò che Waltz vuole dimostrare è che un aumento del numero degli Stati nucleari non minaccia la struttura bipolare del mondo. 
Con le parole di John Herz, potere assoluto equivale ad assoluta impotenza, almeno ai più alti livelli di forza rappresentati dagli arsenali nucleari. Le migliori armi degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica sono inutilizzabili: il deciso vantaggio di questi 2 Stati viene ad essere neutralizzato ⇒ in queste circostanze i potenti appaiono frustrati dalla propria forza, e malgrado i deboli non diventino forti per questo, sono tuttavia in grado di agire come se lo fossero. 
Si crede che il mancato utilizzo dei grandi arsenali nucleari diminuisca l’importanza della forza, ma questo ragionamento è erroneo: il potere non va identificato con l’uso della forza e l’utilità di quest’ultima non va confusa con la sua utilizzabilità. 
John Herz ha coniato il termine “dilemma della sicurezza” per descrivere la situazione in cui gli Stati, incerti sulle intenzioni degli altri, si armano per garantire la propria sicurezza, mettendo in tal modo in moto un circolo vizioso ⇒ qualunque sia l’armamento e il numero degli Stati nel sistema, questi ultimi sono costretti a vivere il “dilemma della sicurezza” e questo non è un prodotto della loro volontà, ma della situazione. Un dilemma non può essere risolto, può soltanto essere affrontato, più o meno prontamente. 
Poiché gli Stati Uniti e l’Unione sovietica coesistono in un mondo sicuro – se si esclude il confronto fra essi – hanno poche ragioni politico-internazionali per ricorrere alla forza. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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