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Teoria realista e politica estera degli Stati Uniti

Per quasi mezzo secolo dalla pubblicazione nel 1948 del volume di Hans Morgenthau Politics among Nations la teoria realista è stata al centro dello studio della politica internazionale degli Stati Uniti. Ciò è avvenuto perché la teoria realista affronta le domande fondamentali nelle relazioni internazionali: 
Quali sono le cause del conflitto e delle guerre fra gli Stati? 
Quali sono le condizioni che facilitano la cooperazione e la pace tra essi? 
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Secondo Joseph M. Grieco, se desideriamo comprendere lo sviluppo e le condizioni attuali dell’insieme delle teorie accademiche sulle relazioni internazionali negli Stati Uniti, dobbiamo prima comprendere la teoria realista, dal momento che gli approcci analitici alternativi hanno spesso definito le loro prospettive teoriche e i loro progetti di ricerca in opposizione ad uno o più elementi della teoria realista. 
Il nucleo principale della teoria realista può essere riassunto dai seguenti assunti: 
1. la centralità dello Stato: per i realisti, lo Stato-nazione è l’unità fondamentale dell’organizzazione politica. I realisti riconoscono che altri attori, quali le istituzioni internazionali, le imprese multinazionali e le organizzazioni transnazionali come il Comitato internazionale della Croce Rossa, operano nel sistema internazionale. TUTTAVIA, come scrive Waltz, sono sempre gli Stati a stabilire i termini delle loro relazioni; 
2. l’assunto dell’anarchia: gli Stati coesistono in un contesto di anarchia internazionale, in assenza di un’autorità centralizzata affidabile a cui essi possano fare appello per ottenere protezione o per riparare a un’ingiustizia. Questo assunto comporta almeno 2 principali implicazioni per gli Stati: 
− gli Stati sanno che gli altri possono venir meno alle loro promesse, usare la forza o la minaccia della forza per esercitare pressione su di loro, o persino cercare di danneggiarli o distruggerli; 
− l’assenza di un’autorità centralizzata significa che gli Stati sono per definizione agenti di auto-difesa (self-help agents). 
3. gli Stati come attori autonomi, razionali e unitari: i realisti utilizzano un gruppo di 3 assunzioni interrelate relative agli Stati: 
− gli Stati sono attori razionali: la razionalità degli Stati è definita da almeno 3 elementi: 
- i realisti assumono che gli Stati siano guidati da certi obiettivi e che mettano a punto strategie esplicitamente orientate al loro conseguimento; 
- i realisti assumono che gli Stati abbiano obiettivi coerenti = le preferenze degli Stati sono ordinate in modo transitivo; 
- i realisti assumono che gli Stati mettano a punto specifiche strategie per conseguire i loro scopi. Per estensione, i realisti assumono anche che gli Stati siano “sensibili ai costi” ⇒ che possano cambiare le loro strategie a seconda dei cambiamenti dei vincoli e delle opportunità esterne, delle loro esperienze negative e dell’osservazione dei successi e degli insuccessi degli altri Stati. 
− gli Stati sono sufficientemente autonomi dalla loro società da riconoscere e perseguire gli interessi nazionali nella loro totalità, e non solo gli interessi di alcuni gruppi di potere all’interno della comunità. I realisti inoltre assumono che gli Stati siano effettivamente capaci di stabilire obiettivi e strategie che vadano contro le preferenze di importanti gruppi della società stessa. 
− lo Stato è capace di un’azione unitaria: gli Stati possono agire in modo coerente nelle relazioni con altri Stati. 

In base a questi presupposti, il realismo ha elaborato alcune proposizioni relative alle caratteristiche fondamentali dello Stato e alle sue preferenze primarie nelle interazioni con gli altri Stati: 
1. Il principale effetto del riconoscimento da parte degli Stati che esiste la possibilità che la forza venga usata contro di loro implica che la sicurezza è il loro principale interesse. 
Esempi: Waltz nota che nell’anarchia, la sicurezza è il fine più alto; analogamente, Krasner osserva che tutti gli Stati condividono lo stesso obiettivo minimo di preservare l’integrità territoriale e politica; inoltre, Aron sostiene che ogni unità politica aspira alla sopravvivenza. 
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L’anarchia fa sì che gli Stati siano agenti preoccupati soprattutto della loro sopravvivenza e sicurezza ⇒ possiamo sostenere che, nella misura in cui essi rispondono all’ambiente esterno e sono da esso condizionati, gli Stati sono attori difensivi. 
2. Gli Stati tendono a preoccuparsi delle loro capacità relative, dal momento che proprio queste ultime determinano se gli Stati sono in grado di affrontare le minacce effettive o potenziali poste da altri Stati ⇒ la potenza dello Stato è per definizione relativa. 
La relatività del potere, a sua volta, fa sì che gli Stati siano attori molto attenti alla loro posizione. 
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L’anarchia fa sì che gli Stati agiscano da difensive positionalists (= difensori dello loro posizione relativa). 
3. Poiché tendono a difendere la loro posizione e si preoccupano della loro potenza relativa, gli Stati cercano di essere liberi di scegliere le strategie che offrono maggiori possibilità di promuovere la loro sicurezza e tentano di avere le mani libere per prendere le misure che essi giudicano migliori per conservare la loro posizione di potere relativa. 
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L’anarchia fa sì che gli Stati assegnino un grande valore all’autonomia decisionale e all’indipendenza di azione. 
Inoltre, gli Stati, nel contesto di auto-difesa dominato dall’anarchia, cercano di conservare la capacità di svolgere le funzioni che contribuiscono alla sicurezza, alla sopravvivenza e al mantenimento della loro posizione relativa. 

Ovviamente, non tutti gli Stati sono in grado di svolgere effettivamente tutte queste funzioni; tuttavia, la maggior parte di essi – e certamente tutti gli Stati più importanti – avrà un interesse a mantenere la capacità di svolgerle al massimo grado possibile. 
Per valutare l’utilità della teoria realista, Grieco si pone una semplice domanda: 
Questi elementi possono essere utilizzati per gettar luce in modo significativo sull’effettivo comportamento degli Stati e sugli esiti di tale comportamento nel sistema internazionale? 
Molti realisti hanno studiato direttamente l’aderenza alla realtà e l’utilità di quello che è forse il più controverso assunto del realismo (quello secondo cui gli Stati possono agire come attori unitari relativamente svincolati dalle loro istituzioni nazionali o dalle preferenze di segmenti particolaristici delle loro società). 
Secondo Grieco, gli studi che si occupano direttamente di questo presupposto sembrano avere un solido fondamento empirico e, al di là di questo, essi gettano luce persino sulle reali politiche estere di un sistema altamente pluralistico quale è quello degli Stati Uniti. 
Per quanto riguarda la tendenza degli Stati ad assumere un comportamento orientato al raggiungimento e al mantenimento dell’equilibrio (balancing behavior), i realisti sostengono che coloro che sono minacciati risponderanno a questa sfida cercando di intraprendere azioni che diminuiscano o controbilancino la crescita della potenza della parte in ascesa, mentre non assumeranno un comportamento orientato a “saltare sul carro del più forte” (bandwagoning). 
Secondo i realisti, la tendenza degli Stati a controbilanciare gli sfidanti grazie alla formazione di alleanze difensive costituisce una forte aspettativa comportamentale circa gli effetti dell’anarchia sugli Stati. Essa è anche un segno fondamentale, secondo la versione del realismo articolata da Waltz, che gli Stati sono interessati più alla sicurezza che al potere. 
La proposizione realista relativa all’equilibrio è stata recentemente sottoposta a un’importante critica da parte dello storico Paul Schroeder. Egli sostiene che al posto dell’auto-difesa, e soprattutto dell’equilibrio, storicamente gli Stati hanno frequentemente perseguito strategie alternative quando dovevano fronteggiare minacce poste da altri, come nascondersi, hiding (= sfuggire alle minacce poste da altri paesi = fare free-riding) o transcending, trascendere il conflitto (= cercare di risolvere il problema che ha portato allo scontro). 
La cosa più interessante è che per Schroeder, al contrario di ciò che sostengono Waltz e Walt, saltare sul carro del più forte è molto più frequente, dal punto di vista storico, della ricerca dell’equilibrio, specialmente da parte delle potenze minori. 
I realisti, se da una parte rimarcano che il sistema internazionale contribuisce alla competizione e al conflitto tra gli Stati, dall’altra sostengono anche che la stabilità dell’ambiente internazionale può essere influenzata da fattori sistemici e in particolare dalla polarità del sistema (= dal numero di Stati principali). 
Molto rilevante, secondo Grieco, è la tesi di Waltz, secondo cui i sistemi multipolari tendono ad essere più inclini all’instabilità e a conflitti militari di vasta portata rispetto ai sistemi bipolari. 
La tesi di Waltz relativa alla polarità è stata sottoposta a molte critiche utili. Per esempio, Thomas Christensen e Jack Snyder mostrano che la comprensione delle “patologie” della multipolarità precedente la Prima Guerra Mondiale (essere incatenati gli uni agli altri) e la Seconda Guerra mondiale (fare da scaricabarile) richiederebbe l’aggiunta di un fattore che è assente dall’analisi strutturale di Waltz, e precisamente la percezione da parte dei decision-makers a livello nazionale della probabilità che le strategie militari offensive fossero efficaci. 
La rilevanza della tesi realista della polarità è comprovata anche dal dibattito avviato da John Mearsheimer sul futuro dell’Europa. Secondo Mearsheimer, all’indomani del collasso dell’Unione Sovietica e della fine della Guerra Fredda, è probabile che l’Europa ritorni a un assetto multipolare ⇒ questo potrebbe significare un ritorno all’instabilità e al conflitto sul continente. 
Il realismo sostiene che gli Stati possono cooperare formando alleanze difensive contro sfidanti esterni. Più in generale, bisognerebbe sottolineare che gli studiosi realisti hanno riconosciuto da tempo il fatto che la cooperazione è un importante elemento della politica mondiale. Al tempo stesso, però, essi hanno anche sostenuto che la cooperazione si consegue più faticosamente e si mantiene più difficilmente di quanto non sia sostenuto, per esempio, dalla tradizione istituzionalista-liberale. In modo particolare, i realisti hanno identificato almeno 3 vincoli, indotti dal sistema, alla volontà degli Stati di cooperare anche qualora essi abbiano interessi in comune: 
1. la possibilità di imbrogliare: non essendovi un’autorità centralizzata in grado di far rispettare le promesse, e al cospetto di interessi tanto in comune quanto in conflitto, gli Stati saranno, al tempo stesso, tentati di imbrogliare e temeranno di essere vittime di simili inganni da parte dei loro partner; 
2. essendo agenti di auto-difesa, gli Stati preferiscono essere in grado di svolgere quante più funzioni sia possibile – in special modo quelle che influenzano la loro sicurezza e autonomia: gli Stati preferiscono mantenere un basso livello di differenziazione funzionale tra se stessi e gli altri. La cooperazione, però, comporta di solito un certo grado di specializzazione delle funzioni. TUTTAVIA, gli Stati oppongono resistenza proprio a questo tipo di specializzazione delle funzioni. 
Come nota Waltz, anche se l’imperativo nazionale è specializzazione!, ci si accorge che l’imperativo internazionale è provvedi a te stesso!. 
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Nella misura in cui la cooperazione comporta differenziazione funzionale, gli Stati saranno diffidenti nei suoi confronti per via delle preoccupazioni relative alla loro sicurezza e indipendenza indotte dall’anarchia; 
3. i guadagni relativi: date le preoccupazioni difensive a proposito delle proprie capacità relative, uno Stato deciderà di non partecipare, abbandonerà o limiterà drasticamente il suo impegno in un sistema di cooperazione se crede che le differenze tra i guadagni favoriscano sostanzialmente le altre parti. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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