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Il mito di Ulisse in Gabriele D’Annunzio

Maia, 1903 (dalle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi).
Nel momento in cui la civiltà occidentale si sente onnipotente, la poesia legge l’eroe dell’ombra come Titano della luce.
L’adesione al pensiero di Nietzsche e il viaggio in Grecia del 1895 segnano una svolta nell’arte e nel pensiero dannunziani. Per D’Annunzio Odisseo costituisce il modello supremo dell’uomo che egli stesso vuol essere.
Il mito di Ulisse viene così ripreso in Maia. È presente sin dalla lirica esordiale, Alle Pleiadi e ai Fati, che si apre con versi simbolo dell’intera vicenda di Ulisse: “navigare è necessario; non è necessario vivere”. La figura di Ulisse, modellata su quella dell’Inferno dantesco, compare per accendere, con i resti della nave inabissata, il rogo votivo del poeta. L’eroe si presenta insomma come variante del superuomo che si erge sulla massa dei deboli seguaci del “Galileo” (= Gesù)  l’Altrui dantesco è scomparso una volta per tutte. Il superuomo, l’Ulisside moderno, può fare a meno sia degli uomini che di Dio.
Il primo libro di Maia, racconta del viaggio per mare verso la Grecia compiuto dal poeta insieme ad alcuni amici dove il casuale incontro con un velista solitario viene fantasticamente rivissuto come incontro con il mitico navigatore. È qui che Odisseo finisce per mostrare più la volontà di potenza del Superuomo “distruttore” di Nietzsche, che non l’ansia di conoscenza dell’Ulisse dell’Inferno. A lui, il Vate e i suoi compagni vogliono assomigliare ed invano si sforzano di catturare la sua attenzione fino a che lo sguardo di Ulisse si volge verso il poeta: toccato dal carisma dell’eroe,  ora anche lui può vivere di una su grandezza solitaria.

Tratto da ULISSE E IL VIAGGIO di Livia Satriano
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