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Ulisse dal Rinascimento in poi

Nel XV secolo l’Ulisse di Dante, ormai penetrato a fondo nell’immaginario della cultura italiana, è divenuto modello non solo nuovo, ma positivo.
È il Morgante di Luigi Pulci, tessendo le lodi dell’eroe che fa arrossire Ercole per aver posto l’inutile divieto, a segnare un punto di svolta verso il definitivo riscatto di Ulisse.
Egli torna a nuova vita tra le donne e i cavalieri, l’armi e gli amori apparentemente frivoli del romanzo cavalleresco, come parte integrante dell’entusiasmo dei poeti verso il presente. Assieme alla montagna bruna del Purgatorio, la morte scompare insomma dall’orizzonte ulissiaco. Al suo posto la “nova terra”.
Così Ulisse diventa prefigurazione di Colombo scopritore dell’America.

Ludovico Ariosto- Orlando Furioso

Andronica profetizza ad Astolfo le spedizioni degli esploratori moderni che vengono accostati alla figura del navigatore itacese, molto lodato da Ariosto

Torquato Tasso- Gerusalemme liberata

Tasso fa navigare Carlo e Ubaldo alla ricerca di Rinaldo verso occidente attraverso il “corto varco” di Gibilterra  critica esplicita dei limiti dell’episteme medievale e anticipazione dell’impresa di Colombo. Il nuovo mondo non è più un “mondo sanza gente” e non rappresenta più la morte, bensì la vita.
Tuttavia, come si vedrà, all’interno del brano della Gerusalemme liberata si nota ad un certo punto la volontà di Tasso di far capire come anche quel Paradiso, la Nova Terra possa celare una’ombra sconvolgente di morte (es. la bellissima incantatrice Armida)  la speranza e la fede rinascimentali subiscono un punto d’arresto, si manifestano tutti gli interrogativi del difficile periodo della Controriforma. Proprio questo seme di dubbio sarà il punto di partenza per la riflessione dei poeti romantici
Due sistemi tipologici seguiti dagli scrittori italiani:
•    Biblico, prospettiva profetica. Colombo sente di aver toccato con mano il nuovo cielo e quella nuova terra avvistati dall’Ulisse di Dante, la Nuova Gerusalemme profetizzata da Isaia e dall’Apocalisse
•    Classico, impianto razionalistico. Ulisse e Colombo come paradigmi della scienza moderna (dal Tasso essa si trasmette sino al Parini nel Settecento, con l’ “Innesto del vaiuolo”)
Al centro di entrambi si colloca l’immagine del Paradiso Terrestre, la Nova Terra in vista della quale l’Ulisse di Dante fa naufragio, e che Colombo dice di avere in effetti, letteralmente, ritrovato.
Questa visione verrà confermata in pieno Ottocento da autori quali lo statunitense Walt Whitman che insisteranno sul carattere messianico e grandioso dell’impresa di Colombo (es. “A passage to India”)
Romanticismo
L’oscurità si allarga dentro, l’essere stesso è ombra. Su qualunque orizzonte si muova ora Ulisse, questa Ade interiore e consapevole di sé lo accompagna senza scampo.
Mentre la scienza naviga su strani mari di Pensiero, la poesia si spinge verso la conoscenza dell’essere, aldilà dei limiti del pensiero e del sapere umano, verso un nuovo mondo: il poeta è il vero Ulisse romantico

1798- Coleridge

Lyrical Ballads . Si aprono con “The Rime of the Ancient Mariner” (La ballata del vecchio marinaio)

Trama: Il poemetto narra la storia di un marinaio le cui connotazioni anagrafiche sono ignote che, in occasione dei festeggiamenti per un matrimonio, intrattiene con insistenza un ospite, al quale decide di narrare la propria storia. Inizialmente basito, l'ospite si rivelerà poi ammaliato dal vecchio narratore.
Il racconto illustra le vicende della nave del marinaio che, spintosi oltre l'equatore fino ai ghiacci antartici, vi rimane intrappolata a causa di una tempesta. L'avvistamento di un albatros sembra indicare una via di fuga all'equipaggio in seguito alla benevola accoglienza ricevuta da questi, che lo rifocillano. L'albatro, sembra infatti portatore di una brezza che consente alla nave di liberarsi dalla stretta di ghiaccio. Inaspettatamente, però, il marinaio uccide l'uccello con un colpo di balestra, non potendone sopportare la vista in mezzo a quella disperata situazione.
Inizialmente l'atto sembrò non causare nessuna conseguenza grave: dapprima i marinai si lamentarono del gesto inconsulto dell'uomo, poiché il volatile sembrava portatore di una brezza buona; in seguito, grazie al miglioramento delle condizioni atmosferiche, l'equipaggio pensò, al contrario, che l'uccisione potesse essere stata una buona idea, perché la sorte sembrava arridere alla nave. La giustificazione dell'azione rese colpevoli di quest'ultima anche i componenti dell'equipaggio tanto quanto il marinaio.
La nave sembrò impantanarsi nelle vischiose acque del mare, all'improvviso meno benevole del solito: al marinaio fu appeso l'albatros morto al collo come segno della sua colpa. Proprio mentre il rimorso lo assale appare una nave fantasma, con a bordo due passeggeri: Morte e Vita-Nella-Morte. Impegnate in una partita a dadi, giocavano per il destino dell'equipaggio. Duecento uomini morirono immediatamente, maledicendo il marinaio per aver ucciso l'albatros, mentre il vecchio si salverà, costretto a vivere un'esistenza al limite, molto peggio della stessa morte, come premio di Vita-Nella-Morte.
Per sette giorni il marinaio rimase in compagnia dell'equipaggio decimato da Morte, tentando inutilmente di pregare: solo quando benedisse i serpenti marini che si agitavano nelle acque riuscì nell'intento, e nello stesso istante il volatile che portava appeso al collo si staccò, inabissandosi. Avviene qui la conversione: i morti divennero spiriti angelici che guidarono la nave verso le coste inglesi, dove affonda. Il marinaio sarà costretto a raccontare in eterno la sua avventura, come monito morale verso l'umanità.

Il poemetto di Coleridge orienta in maniera nuova il centro stesso dell’immaginario ulissiaco: l’Odisseo omerico punta al ritorno; l’Ulisse dantesco alla conoscenza e all’esperienza del mondo, il viaggio del Vecchio Marinaio non ha né motivazione né meta.  A differenza di Odisseo è destinato a non trovare mai riposo e diversamente da Ulisse il suo parlare non gli allieverà il tormento.

Giacomo Leopardi – Ad Angelo Mai, 1820

All’interno della canzone Leopardi celebra i grandi italiani del passato e fra di essi cita anche Colombo, al quale dedica due strofe.
In esse riconosce la gloria delle sue imprese ma aggiunge anche come commento quella che è la sua visione delle cose: il nuovo Ulisse, Colombo, appiattisce la Terra rendendola uniforme, trasformandola in “breve carta” l’esploratore moderno sradica il “caro immaginar” del fanciullo e dell’umanità bambina, uccide con il “vero” lo stupendo potere primigenio dell’immaginazione. L’origine dell’infelicità dell’uomo è da ravvisare nell’aver voluto conoscere troppo.
Ulisse viene dunque contestato integralmente: come paradigma gnoseologico esaltato dall’antichità e come modello epistemico moderno proposto dal messaggio poetico dantesco.

Alfred Tennyson- Ulysses, 1833 (pubbl. 1842)

Ulysses è un monologo drammatico le cui fonti fondamentali di ispirazione sono, per esplicita ammissione dell’autore, la profezia di Tiresia nel libro XI dell’Odissea e il canto XXVI dell’Inferno. Ritornato in patria da anni, ormai vecchio, l’Ulisse di Tennyson desidera salpare di nuovo per un ultimo grande viaggio verso occidente. Il monologo lo coglie sospeso fra l’abdicazione e la partenza. Senza senso è fermarsi dice l’Ulisse di Tennyson così ora egli sente che sebbene poco rimanga del vivere, tuttavia ogni ora salva da quell’eterno silenzio un “qualcosa in più, che porta cose nuove”. L’Ulisse tennysoniano rifiuta sul piano esistenziale l’ethos grettamente materialista, la mentalità accumulatrice dei propi sudditi. La vita, soprattutto in prossimità della morte, deve essere spesa, non risparmiata.  A differenza dell’Ulisse di Dante, questo Ulisse non è motivato dall’inseguire “virtute” ma piuttosto conoscenza e conoscenza fine a se stessa, brama romantica di qualcosa di non ben identificabile ma che si estende aldilà dei limiti stessi del pensiero umano.


Friedrich Nietzsche- Così parlò Zarathustra, 1883-1885

Come l’Ulisse di Tennyson  così Zarathustra annuncia di dover scendere giù in basso, “tramontare” cioè di dover seguire conoscenza come stella che sprofonda, di morire per rinascere come “superuomo”.


Charles Baudelaire- Il viaggio, 1859 (da I fiori del male)

Anche qui ricompare il tema del dissidio tra poesia e scienza nell’immagine della carta geografica con la quale si apre “Le Voyage”. Il mondo è vasto prima dell’esperienza, quando la brama illimitata si proietta su di esso nella “clarté” dell’immaginazione. Dopo il viaggio, nel ricordo, quello stesso mondo appare infinitamente piccolo. C’è chi parte pieno di rancore, per fuggire l’orrore della propria terra, come l’Ulisse  di Tennyson, chi per evitare Circi tiranniche, i veri viaggiatori, certo, sono soltanto coloro che partono per il gusto di partire con la stessa curiosità dell’Ulisse dantesco salvo poi accorgersi che ciò che hanno trovato, quei paradisi che ricercavano sono solo un miraggio, erano belli solo nell’immaginazione e ben presto sono destinati a scontrarsi con l’unica verità della morte. Il mondo diventa così di nuovo minuscolo e tutto “simile”, specchio del nostro essere oasi di orrore in un deserto di noia. L’Ulisse di Baudelaire non ha nulla da perdere, vuole “tuffarsi nell’abisso, inferno o paradiso..vivere nel morire”.
L’Ulisse di Baudelaire, il navigatore che parte per partire, senza una meta avrà una sua eco nell’Odisseo di Luigi Fenga. Alle soglie del XXI secolo, infatti, l’Ulisse è ancora colui che afferma: “partirò, non so verso dove, oggi o subito, perché non voglio più essere” e “partirò per partire, senza una vera meta, come è ogni partenza”
La “dulcedo naufragii” non ha mai fatto parte dell’orizzonte di Ulisse. Tuttavia, man mano che la poesia s’inoltra nel secolo XIX tale piacere del naufragio diviene la risposta sempre più spesso ripetuta a un modello epistemico che pretende di trovare tutte le soluzioni ai problemi dell’uomo nel progresso della tecnica, nel sistema filosofico onnicomprensivo, nell’utopia politico-sociale scientifica.

Tratto da ULISSE E IL VIAGGIO di Livia Satriano
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