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La Scuola delle Relazioni Umane



Siamo intorno agli anni 20. In quei anni inizia ad entrare la componente psicologica nell’organizzazione industriale. Gli psicologi industriali iniziano a dire che non si può definire un tempo standard e una q di lavoro standard perché ognuno di noi ha un livello di sopportazione della fatica soggettivo.
Le persone non vanno motivate solamente tramite bonus economici, ma conta molto anche la motivazione psicologica.
Lo svolgimento di lavori sempre uguali, monotoni e faticosi porta ad un calo dell’attenzione e della produttività.
In questo ambito si inserisce LA SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE. Siamo negli anni trenta negli USA. Nel momento in cui il Taylorismo si afferma, inizia a diffondersi l’idea che questa organizzazione scientifica del lavoro vada in contrasto con i valori della democrazia americana. Si inizia a rendersi conto che effettivamente l’uomo era scarsamente considerato come una persona ma solo come un fattore produttivo. Allora la scuola delle relazioni umane, che nasce nella Western Electric Company.
Un gruppo dirigente decide di studiare che relazione c’è tra il grado di illuminazione e la produttività degli operai. Si volevano creare le condizioni per creare il più possibile nel più breve tempo possibile. Prendono allora un gruppo di operai che li fanno lavorare in uno stabilimento dove l’illuminazione è sufficiente per poter lavorare. Altri operai invece partono dallo stesso livello di illuminazione che man mano aumenta. Risultato, il gruppo dove l’illuminazione è stata aumentata ha aumentato la produttività, ma anche nel gruppo dove il grado di illuminazione è rimasto stabile. Allora fanno un altro esperimento dove un gruppo ha un illuminazione che aumenta, e un altro in cui diminuisce. Ma il risultato non cambia. Si registra un andamento della produzione positivo. A quel punto la western Electric company chiama degli psicologi, Elton Mayo e Rothlisberger, li chiama e gli propone un programma di ricerche. Questi risultati inaspettati gli suggeriscono che c’è qualche fattore latente che non colgono e vogliono capire perché.
Avviano allora tre programmi di ricerche. Il primo esperimento che fanno è quello di capire se nella motivazione contasse di più il lato economico oppure se ci fossero anche dei fattori psico sociali che influenzassero i rendimenti degli operai. In questo caso prendono un gruppo di una 15 quindicina di operaie e le mettono a lavorare con condizioni modificate rispetto alla produzione normale. Gli mettono allora un supervisore amichevole, a differenza di quelli previsti da Taylor. Poi gli danno un incentivo al gruppo di lavoro, più focalizzato sul contributo di ciascuno. E infine inseriscono un meccanismo di pause per farle recuperare. Offrono condizioni più favorevoli in termini di riposo.
Le operaie iniziano a lavorare. Esperimento che dura due anni. Progressivamente si riduce l’orario di lavoro. Il risultato è che rispetto alla produttività complessiva del reparto, queste operaie lavorano con un 30 per cento in più di produttività.
Vanno avanti con gli esperimenti con delle interviste per capire quale sia il fattore che conta maggiormente. I risultati sono che quello che prevale sono le dinamiche di gruppo, poi le fasi di riposo, poi il fattore economico che per Taylor era primo. In qualche modo questi esperimenti dimostrano che c’è un fattore umano legato alla relazione amichevole tra il supervisore e la manodopera che fa lavorare meglio le persone.
A valle di tutto ciò, i risultati presentati sono stati soggetti a molte critiche a livello scientifico.

Critiche all’esperimento:
Nel report conclusivo non si faceva menzione al fatto che due operaie erano state licenziate perché parlavano troppo. Comportamento disciplinare molto forte.
Secondo aspetto, erano stati adottati parametri di valutazione in convenienza a quello che gli scienziati volevano far emergere.
Altro aspetto, orientamento dell’esperimento già deciso.
Terzo fattore è la crisi del 29 che è arrivata durante l’esperimento. Lavorare in quelle condizioni era molto difficile. Si lavorava per mantenere il posto.

Interventi disciplinari, depressione economica e pause di riposo spiegano da sole il 97% della varianza osservata!

Sono rimasti in quanto, aldilà dei risultati, ci sono delle dimensioni sociali e umane che nell’organizzazione del lavoro devono essere tenute in considerazione.

Altro contributo forte delle relazioni umane, la dimensione del gruppo che informalmente si autoregola. Se metti delle persone a lavorare tra di loro, anche se ci sono norme o regole, quello che il gruppo fa e’ darsi delle regole di comportamento informali che i componenti del gruppo devono rispettare. Norme che non sono scritte. Regole di comportamento interno rispettate da ogni gruppo.
Il gruppo ha delle dinamiche di funzionamento che tuttavia possono essere molto pericolose. I free rider sono quelle persone che stanno in un gruppo ma non fanno niente, si avvantaggiano dell’attività altrui.

Scuola delle Relazioni Umane
La dimensione delle regole informali che il gruppo si dà è un aspetto molto importante. Anche l’idea di Taylor che l’uomo per natura tende a prendersela comoda non è così. Il comportamento dell’uomo deriva dalle regole che gli individui si danno. È un aspetto sociale e non naturale come affermava Taylor.

Tratto da ORGANIZZAZIONE AZIENDALE di Kevin Carne
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