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Le neuroscienze cognitive dello sviluppo



Se fino alla fine degli anni 90 l’innatismo rappresentazionale era un approccio teorico molto diffuso, successivamente una serie di autori gli si sono opposti e hanno fondato una nuova visione dello sviluppo, chiamato neuroscienze cognitive dello sviluppo. Essendo un approccio molto recente non ha ancora un quadro teorico ben specificato e definito, ma piuttosto si tratta di un quadro teorico di riferimento al cui interno diversi autori (magari con posizioni diversificate) riconoscono un insieme di punti teorici di base. Il punto principale: voler studiare lo sviluppo mettendo in relazione lo sviluppo della mente con lo sviluppo del cervello -> non si può studiare lo sviluppo della mente prescindendo dallo studio del cervello.
Neuroscienze cognitive: studiano le modalità attraverso le quali il cervello supporta i processi mentali, i rapporti tra processi cognitivi e attività neurale.
Neuroscienze evolutive: studiano lo sviluppo delle strutture neurali, senza particolare attenzione alle loro proprietà funzionali.
Neuroscienze cognitive dello sviluppo: studia le relazioni tra lo sviluppo cerebrale e sviluppo dei processi cognitivi -> tale relazione è bidirezionale (se si considera una sola direzione si rischia di far riferimento a un approccio riduzionistico). Si deve sempre tenere presente che un cambiamento che avviene a livello della mente (ad esempio a livello dell’esperienza), provoca un cambiamento nel cervello e viceversa.

Concetti chiave di questo approccio:
1) Si tratta di un approccio teorico e metodologico interdisciplinare: gli studiosi che si rifanno a questo approccio non si fermano agli assunti della psicologia dello sviluppo cognitivo, ma allargano i loro strumenti ad altre discipline, vicine alla psicologia dello sviluppo perché studiano il cambiamento. Ad esempio si interessano ai concetti biologici, delle neuroscienze, genetici, etologici (studia il cambiamento del comportamento degli animali in determinati ambienti). Interessano tutte quelle discipline che si pongono la loro stessa domanda: in che modo strutture biologiche complesse e organizzate possono emergere a partire da stati iniziali più semplici e indifferenziati?

2) Vengono utilizzate come metodologie d’indagine tutte le tecniche di neuroimmagine, in particolare ne vengono usate 2: ERP e spettroscopia del vicino infrarosso (NIRS). La NIRS usa raggi infrarossi per localizzare quali aree del cervello si attivano in risposta d un certo compito (dato che i raggi infrarossi sono sensibili alle modificazioni di ossigenazione -> è un segnale BOLD). Gli ERP fino a 15 anni fa erano molto invasivi da usare sui bambini piccoli, oggi invece è molto più semplice usarli, perché gli elettrodi sono costituiti da spugnette morbide (che non hanno bisogno della pulitura della cute), inoltre non devono essere montati 1 a 1, ma sono tutti attaccati a una cuffietta molto semplice da far indossare al bambino. Gli ERP non servono per capire quali aree si attivano, ma servono più per capire le tempistiche dei processi mentali e per capire quale tipologia di processo mentale viene attivato (esempio: attentivo o percettivo o di ragionamento ecc).

3) Questo approccio rivaluta il ruolo dell’esperienza nello sviluppo, a differenza degli innatisti. Tutti gli approcci delle neuroscienze cognitive dello sviluppo sottolineano che il patrimonio genetico non è statico, ma dinamico, che risponde ai segnali dell’ambiente -> questo meccanismo si chiama plasticità neurale  -> le neuroscienze cognitive dicono che il nostro cervello è plastico -> l’esperienza gioca un ruolo cruciale nell’adulto, quindi a maggior ragione nel bambino.
All’interno di questo approccio si specifica anche ciò che si intende per ambiente ed esperienza. L’ambiente prima di tutto può essere sia l’ambiente interno (ad esempio nell’organismo circolano neuroni, aminoacidi ecc che modulano le caratteristiche genetiche) sia esterno all’organismo -> l’ambiente esterno può essere sia l’ambiente tipico dell’individuo (esempio classe sociale, cultura, tipologia di attaccamento sviluppato nel confronti del genitore -> sono le caratteristiche individuali) sia quello tipico della specie (cioè vi sono caratteristiche dell’ambiente a cui tutti noi individui della specie umana siamo esposti, indipendente dalla provenienza -> esempio: tutti sono esposti ad ambiente linguistico, e ciò incide sullo sviluppo della mente -> questo è importante perché tutti noi finiamo per sviluppare sistemi specializzati comuni a tutti i membri della specie, perché comuni sono molte delle esperienze che facciamo) -> Implicazioni: non c’è nessun aspetto dello sviluppo che possa essere definito genetico in senso stretto / esistono molti tipi di ambiente, che esercitano la propria influenza a diversi livelli.
Esempio: nei canarini è stato dimostrato che l’espressione di un certo gene (ZENK) dipende dalle esperienze che fa il canarino -> se fa esperienza di attività motorie legate al canto, allora si ha un incremento dell’espressione di questo gene nelle aree motorie. Se invece è esposto al canto di altri canarini, si ha un  incremento dell’espressione di questo gene nelle aree uditive. L’espressione del gene dipende anche dalla tipologia di canto a cui il canarino è esposto (se il canto è della sua specie l’espressione del gene è maggiore, se è di altre specie l’espressione è inferiore).
Inoltre la genetica mostra come l’azione dei geni non è lineare ed è influenzata da variabili ambientali. Infatti solo in caso rari l’azione di un singolo gene può essere associata ad un singolo tratto fenotipico. L’azione dei geni non è lineare per due motivi:
La maggior parte dei geni svolge la propria azione in concerto con un gran numero di altri geni detti regolatori
Il patrimonio genetico dell’uomo è simile per il 98% a quello degli scimpanzè -> a partire da differenze molto lievi nel patrimonio genetico si arriva a esiti fenotipici molto diversi.
Quindi il patrimonio genetico non è statico, ma aperto alle influenze ambientali

4) Lo sviluppo come processo probabilistico: nell’innatismo si diceva che lo sviluppo è predeterminato dal patrimonio genetico (e quindi si sa tutto fin da subito, mente l’esperienza fa solo da innesco). Qui invece si dice che l’esito dello sviluppo è probabile, non predeterminato, perché ad interagire nello sviluppo sono molteplici fattori, che riguardano l’ambiente, il comportamento, il cervello (a sua volta scomponibile in funzionamento neurale, anatomia neurale, neurochimica) -> ogni cambiamento che avviene in ciascuno di questi livelli determina un cambiamento in tutto il sistema (quindi i cambiamenti possono essere tantissimi). Ciascuno di questi livelli può essere ulteriormente scomposto a livello spaziale, per cui si ha il livello del corpo nel suo insieme (tutte le modificazioni a livello corporeo, ad esempio peso o altezza), il livello del cervello, il livello delle aree cerebrali, il livello dei microcircuiti, cellule, sinapsi, cromosomi, proteine -> a ciascuno di questi livelli, che corrispondono a scale spaziali, corrispondono scale temporali, che vanno dagli anni ai picosecondi. Dall’interazione di tutti questi livelli vi possono essere tantissimi cambiamenti, che rendono lo sviluppo probabile, sicuramente non predeterminato. I diversi livelli interagiscono infatti in modo dinamico e bidirezionale -> le costellazioni dei fattori e le loro interazioni sono talmente elevate che l’esito del processo di sviluppo non può che essere probabile (piuttosto che predeterminato). Se a questa dimensione si aggiunge anche la dimensione temporale, il tutto si fa ancora più complesso -> ci si può chiedere che cosa determina il comportamento in un dato momento (può essere determinato dalla genetica, da processi neurali e cognitivi, dal comportamento e dell’ambiente sociale) -> questo comportamento contingente può avere poi un impatto sull’apprendimento a medio e lungo termine, che a sua volta può provocare effetti più a lungo termine durante tutto lo sviluppo -> quindi vi è una stretta relazione tra livello temporale e spaziale.
Quindi la visione dello sviluppo come processo probabilistico implica ancora una volta una visione dello sviluppo come dinamico. Questa visione spiega anche come mai nello sviluppo si verificano comportamenti che non erano parte del patrimonio comportamentale dell’individuo. Nell’innatismo il processo di sviluppo è continuo, lineare e graduale e quindi è difficile capire perché un nuovo comportamento emerge all’improvviso. Mentre invece nelle neuroscienze cognitive lo sviluppo può anche non essere lineare, perchè le variabili sono così tante che dalla loro interazione può scaturire qualche nuova organizzazione. Si arriva così al concetto di epigenesi: processo per il quale da uno stato di relativa globalità, indifferenziazione e disorganizzazione, ogni sistema biologico complesso passa a uno stato di progressiva diversificazione e maggiore complessità, attraverso continui scambi bidirezionali tra organismo e ambiente.
L’epigenesi può essere predeterminata: il rapporto tra struttura e funzione nel corso dello sviluppo è di tipo unidirezionale, cioè dato un certo patrimonio genetico, emergono attraverso processi di natura maturazionista certe struttura neurali in un dato momento, e quando esse sono abbastanza mature e funzionali, emerge una certa funzione psichica, che a quel punto può interagire con l’ambiente circostante. Esempio: quando la regioni temporali sono mature emerge la funzione linguistica / quando matura la corteccia prefrontale, emergono le capacità logiche e di ragionamento. Questo esemplifica come l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Inoltre esplicita il concetto per cui il genoma costituisce una sorta di impronta.
Però l’epigenesi può essere anche probabilistica (questo viene introdotto dalle neuroscienze cognitive dello sviluppo): le frecce non sono più unidirezionali, ma bidirezionali, dal momento che ogni livello può reciprocamente influenzare gli altri. Il genoma è quindi parte di un sistema di sviluppo olistico, aperto a segnali che originano dall’interno della cellula stessa (citoplasma) e dall’esterno della cellula (ormoni), così come da segnali che derivano dall’ambiente esterno dell’organismo. Da tale interazione tra geni e ambiente emergono nel corso dello sviluppo delle strutture, processi e abilità che non facevano parte del patrimonio innato dell’individuo. Esempi: in alcune specie di rettili la temperatura di incubazione determina il sesso dell’individuo / nel feto, madri esposte a forte stress hanno maggiori probabilità di avere parti pretermine o neonati sottopeso (gli ormoni relativi allo stress raggiungono il feto attraverso la placenta).
Quindi il concetto di EP prima di tutto illustra che lo sviluppo è caratterizzato da momenti di instabilità (periodi critici), nei quali le potenzialità di cambiamento sono massime (però allo stesso tempo il sistema è molto vulnerabile, perché può ricevere informazioni distorte, o non ricevere affatto informazioni, che lo deviano verso traiettorie di sviluppo atipico), e da momenti di stabilità. L’EP dice anche che da un’iniziale stato di equipotenzialità (in cui ciascuna direzione di sviluppo ha la stessa probabilità di essere intrapresa), nel corso dello sviluppo si assiste a un restringimento degli esiti possibili dello sviluppo –> questo concetto è rappresentato graficamente dal paesaggio epigenetico di Weddington, in cui una sfera (l’individuo che si sviluppa) ha davanti a sé tantissime traiettorie di sviluppo (le varie valli), ma mano a mano che va avanti nello sviluppo le sue opportunità di scegliere si restringono (la pallina può comunque andare in un'altra valle, ma deve attraversare una montagna ripida, quindi il paesaggio gli impone dei vincoli). I punti di transizione tra le valli rappresentano i punti critici dello sviluppo: a seconda dei fattori ambientali che intervengono in quei momenti, lo sviluppo successivo potrà prendere forme differenti (ad esempio l’adolescenza: si hanno tante opportunità, ma allo stesso tempo si è molto vulnerabile ai rischi). La pendenza delle valli rappresenta il ritmo dei processi di sviluppo (in alcuni così è molto veloce, in altri molto lento-> forte pendenza: rapido sviluppo / scarsa pendenza: lento sviluppo). Esempio di restringimento delle potenzialità: i bambini alla nascita possono distinguere suoni linguistici appartenenti a tutti i linguaggi umani. Però dopo i 6 mesi perdono l’abilita di distinguere suoni appartenenti a linguaggi diversi da quello nativo (r vs l per i bambini giapponesi). Questo adattamento al proprio ambiente linguistico influenza (facilitandolo) l’apprendimento successivo: per i bambini giapponesi l’apprendimento linguistico procederà come se la differenza tra r ed l non esistesse -> tutto ciò produce una progressiva specializzazione delle rappresentazioni (conoscenze) linguistiche a livello neurale e cognitivo.
Legato al concetto di sviluppo probabilistico vi è un’altra implicazione (oltre a quella appena spiegata di restringimento dei gradi di libertà): l’autorganizzazione -> è tipica dei sistemi molto complessi, i quali sanno infatti autoorganizzarsi, cioè trovare uno stato di stabilità fra gli elementi che li compongono. Esempio: come riescono le api a formare una struttura così organizzata come quella dell’alveare? L’alveare viene creato in modo così regolare grazie al combinarsi di elementi molto diversi tra loro (materiale che viene usato, l’azione svolta da ogni ape ecc), così che alla fine l’insieme di questi elementi, interagendo tra loro, finisce per determinare quella struttura -> questo è un esempio di sistema che si autoorganizza senza un piano predeterminato (ovviamente le api non conoscono la geometria piana).

5) lo sviluppo come processo sistemico, dipendente dal contesto: già si è detto che qualsiasi livello venga considerato, lo sviluppo dipende dal contesto, cioè dal livello precedente e successivo --> ciò vuol dire che lo sviluppo è un processo sistemico. Ciò fa anche riferimento al concetto di embodied cognition: mente e cervello sono parte di un corpo (dimensione fisica della cognizione -> ciò è molto evidente nel bambino, dato che il suo corpo cambia ogni giorno), che a sua volta è immerso in un ambiente fisico e sociale.
Il corpo agisce come filtro: delimita il tipo di esperienze che il bambino può fare e consente di manipolare l’ambiente, ampliando gli effetti dell’esperienza.

6) lo sviluppo cognitivo in relazione allo sviluppo cerebrale: i cambiamenti neuroanatomici del cervello determinano importanti trasformazioni nelle proprietà funzionali del cervello, che a loro volta si trasformano nelle modificazioni cognitive e comportamentali che osserviamo nel corso dell’ontogenesi -> è un approccio riduzionistico? NO, perché è vero anche il contrario, cioè le proprietà funzionali del cervello influenzano i cambiamenti nelle strutture cerebrali -> questo perché lo sviluppo neurale è fortemente influenzato dal funzionamento stesso delle strutture neurali e dall’esperienza.

Questo approccio teorico ha portato a una rivalutazione del costruttivismo piagetiano -> è costruttivista perché, come quello di Piaget, è un approccio fortemente interazionista, però neuro perché si occupa anche delle modificazioni che avvengono a livello neurale. Inoltre, come nell’approccio piagetiano, lo sviluppo viene visto come un processo proattivo. In che modo il bambino si procura la stimolazione? Se la procura in modo attivo, selezionando lui stesso le informazione dall’ambiente.
Funzionamento parziale: un altro modo di pensare allo sviluppo come proattivo fa riferimento al concetto di funzionamento parziale -> una certa area cerebrale non passa da una funzione silente (in cui non funziona per niente) a una matura (in cui funziona del tutto), ma il suo sviluppo è graduale, e passa attraverso una serie infinita di cambiamenti -> ciò vuol dire che in ogni fase il bambino elabora le informazioni in maniera diversa, in base allo sviluppo di quell’area. Proprio perché il funzionamento del cervello nel bambino piccolo è parziale, il bambino in ogni fase dello sviluppo farà attenzione a certe informazioni e non ad altre. Esempio di funzionamento parziale: spiega in che modo può avvenire la specializzazione dell’emisfero destro per l’elaborazione dei volti umani -> Ciò dipende dal parziale funzionamento del sistema visivo alla nascita e dal parziale grado di maturità funzionale raggiunto dalla corteccia. Un secondo aspetto è che i bambini sono molto attirati dai volti. Dato che non riesce ad elaborare i dettagli, elabora la configurazione generale del volto.

Tratto da PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO di Mariasole Genovesi
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